29 dicembre 2007

Mi rispondono i vip!

Tanto tempo fa mi sono appassionato di un serial tv italiano decisamente atipico: La Squadra.
Atipico perché girato con piglio molto realistico e ritmo serrato, quasi da documentario, diverso dalla regia patinata delle solite fiction nostrane, più che altro infarcite di personaggi televisisvi relativamente famosi in ruoli che molto spesso rasentano il supereroistico.
In questa serie trasmessa da Raitre invece, tutte le persone sono incredibilmente umane: hanno luci e ombre, scheletri nell'armadio e qualcuno anche fuori e vivono nella realtà quotidiana di un commissariato che si barcamena nel gestire la legge attraverso vicende di criminalità sia piccola che su larga scala, con tutti i problemi, i drammi e le piccole vittorie che ne conseguono. In mezzo alla grande maturità del telefilm emergono anche dei notevoli attori; eccettuati due o tre nomi più o meno noti ho realmente scoperto un sottobosco di recitazione italiana assolutamente spettacolare! Volti praticamente sconosciuti danno corpo a personaggi credibilissimi, in un modo che nemmeno molti attori certamente più "blasonati" riuscirebbero a fare.
Nel novero degli attori mi è capitato di notare sin dall'inizio una bellissima Saba Anglana nel ruolo dell'agente Katia Ricci; ripresomi dallo choc puramente estetico ( :D ) mi sono reso conto che era anche una bravissima attrice!
Purtroppo le apparizioni dell'agente Ricci sono limitate solo ad alcune stagioni del telefilm, che ho comunque continuato a seguire, ma solo dopo anni ho scoperto una cosa interessantissima: girovagando per la rete mi è venuto il ghiribizzo di scoprire che fine avesse fatto Saba Anglana e mi sono imbattuto nel suo sito apprendendo che ora Saba è anche cantautrice!!!
Preso dall'entusiasmo ho anche provato a contattare l'artista tramite il sito, sospettando che non avrei mai avuto risposta, e invece...
E invece mi ha scritto, ringraziandomi per la mail e dimostrandosi gentilissima! E' una piccola cosa, forse, ma io sono ugualmente contento come un bambino!

Ma chi è Saba Anglana?
QUI potete trovare un'intervista pubblicata su Panorama, mentre questo è il suo sito ufficiale:
www.sabaanglana.com

Spero che chi legga questo blog sia incuriosito e voglia apprendere maggiori informazioni su questa magnifica artista.

21 dicembre 2007

Gargoyle Online!

Chi sono i Gargoyle? E' presto detto: non stiamo parlando delle statue che adornano le cattedrali gotiche, ma di un gruppo di amici che ha creato un vero e proprio sodalizio dedito al Softair. Ohibò, un altro termine che non conoscete? Il Softair conosciuto anche come Tiro Tattico Sportivo, è uno sport di squadra patrocinato da enti riconosciuti dal CONI (es.: CSEN, AICS, ASI, ACSI). L'attività, pur rimanendo uno sport, può essere assimilata ad una simulazione, tramite attrezzature apposite, di azioni tattiche e strategiche di combattimento in ambienti urbani o boschivi tra fazioni opposte che devono conquistare obiettivi prefissati realizzando il maggior punteggio possibile.
Volete saperne di più su questa attività ? Vi consiglio dunque di visitare il sito del Gargoyle Adventure Team!

11 dicembre 2007

Laif is nau.

Nel seguente diario sono stati modificati nomi e slogan per evitare pubblicità. Converrete con me che le compagnie citate sono ora irriconoscibili.

Un bel dì (vedremo alzarsi un film di fumo; cit.) la mia connessione ad internet decise di averne avuto abbastanza. Prese i suoi ping, attraversò il bridge e si disconnesse senza preavviso. La sua era stata una vita breve ma intensa e poco si sa di questo insano gesto, ma fatto sta che avvenne e potete immaginare il mio disappunto nel vedere i resti di siffatta tragedia. Con composto dolore annunciai al mondo la triste notizia.
Tyreal: "Videocom di M*%*&%!!! Non funziona mai un C*%&%!!!"
Preso il chiacchierone [cit.] mi barcamenai istantaneamente tra i Grandi Esperti del Call Center cercando lumi, chiarimenti o più semplicemente consigli su quale tipo di pasta andasse bene col pesto.
Ebbene passarono tre giorni.
Un bel dì (il fil di fumo di prima, cit.) in ditta mi vedo recapitare un pacco nuovo fiammante dall'etichetta inequivocabile: "Berenice ADSL di Videocom Italia"... cosa che lascia perplessi un po' tutti perché in ditta l'ADSL c'è già da un bel po' e funziona regolarmente.
Lumi, chiarimenti e consigli al call center
"No guardi abbiamo riparato il guasto, fatto partire la segnalazione, poi ho riaperto la pratica e quello è quasi sicuramente il modem che le doveva arrivare a casa per riattivare la linea che prima non andava e adesso va"
"..."
"Adesso lei stasera stamattina prova nel pomeriggio a mezzogiorno e se va il tecnico ha riparato e la pratica è avviata e il suo cellulare nel caso è questo qui grazie signor... Signor...?"
"Tyreal"
"ah si risulta dal suo numero"
A casa, l'ADSL non va.
Il giorno dopo arriva a casa un ALTRO modem/router, stavolta wireless.
Ma l'ADSL non va.
Una settimana dopo arriva una bolletta doppia in ditta. Sconcerto. Risultano DUE linee ADSL, di cui una attiva... sul FAX!!!
Call Centr, lumi, chiarimenti, consigli. E insulti, anche innovativi.
"no nessun problema adesso parte la richiesta arriva il tecnico per fare un albero ci vuole un fiore vedrà che massimo quattro giorni funziona tutto e arriva un rimborso"
Disperato sondo la concorrenza:
SkyNet, la migliore, la più veloce, la più costosa:
"Senta verrà lì da lei un nostro tecnico per verificare i lavori da fare"
"I lavori? Che lavori?"
"Beh per il nostro tipo di connessione serve un nostro sistema poi forse si deve scavare, sa i nostri cavi passano a TRECENTO (300) metri nel sottosuolo ecc ecc... tecnovaccate ecc."
...
"No non importa guardi ho la casa in orbita, lasci stare, arrivederci"
Quella dei trecento metri me la sono scritta: quando sono di cattivo umore la rileggo.
BORA, la compagnia più bistrattata, ma anche più economica:
"Allora le offriamo ADSL a 4 o 20 mega a costo zero che però diventa 26 euro se la fa flat di sabato e mercoledi mentre sono 32 per la 20 di lunedi mattina però in regalo c'è il cellulare blacberry rosa a forma di cazzo"
PIVOFONE, chissà che mi dicono:
"Perfetto, le proponiamo una tariffa per tutti i cellulari..."
"Guardi che a me serve l'ADSL"
"Ah si si... beh quella l'avremo a disposizione più tardi ma le conviene se prima lei sottoscrive un contratto per almeno quattro cellulari aziendali..."
"Ma a me serve SOLO l'ADSL"
"Per quello minimo a settemebre, ma se lei prende i cellulari aziendali adesso si troverà in posizione avvantaggiata quando in autunno..."
*click*
Richiamo la Videocom, così, per insultarli un po'. E' terapeutico.
"Ah sig. Tyreal, senta: per verificare la linea faccia un po' così: colleghi il NOSTRO modem così sappiamo quali parametri cercare, quando tutto sarà a posto potrà riusare il suo router"
Azz... sembra così stupida da avere un senso!!
Prendo uno dei quattro (4) modem che mi hano mandato, msotruosamente bianco e lucido nonché antennuto e lo collego.
la linea... funziona!!!
Esaltato mi connetto e mando mail ad amici e colleghi dicendo che finalmente sono tornato ad essere interattivo; quand'ecco che, all'ultimo invio, la linea decide di suicidarsi di nuovo.
E' passata un'altra settimana e solo ieri mi è venuta l'idea di rimettere il mio vecchio router.
Ed eccomi qui a scrivere online.

Laif is nau.

Laura Iuorio - Il Destino degli Eldowin

E' uscito!
Il nuovo Fantasy di Laura Iuorio è finalmente disponibile! Il libro è molto bello: l'autrice tratteggia come suo solito dei personaggi molto credibili e approfonditi, pur inseriti in un contesto fantastico nella migliore tradizione del genere.
E le mappe nel libro le ho disegnate io!!!
Fatemi sapere se vi è piaciuto!

La trama:
C'è un luogo, nel Varlas, in cui uomini ed elfi convivono pacificamente da secoli. È la grandiosa città-stato di Azales, situata ai piedi delle cascate Mah Quad, e dominata dalla leggendaria stirpe elfa degli Eldowin. Ma uno spietato nemico trama nell'ombra per distruggerne il fragile equilibrio e riconquistare nel sangue il potere perduto. Mentre il regno corre incontro all'inevitabile rovina, i favolosi Eldowin si avviano ignari, fra giochi innocenti, balli di corte e sospiri d'amore, verso il loro tragico destino. Molto tempo dopo, una combriccola eterogenea, formata da una maga in fuga, un simpatico barbaro, due vampiri, una nana e un giovane contadino intraprende un viaggio avventuroso che la porterà dai confini orientali dell'Argelar, oppresso dall'implacabile Adras l'Oscuro, fino al Varlas, sulle tracce della mitica città perduta.

Ulteriori informazioni e il primo capitolo in anteprima sul sito dell'autrice www.lauraiuorio.it

Indovina chi viene a cena?

Quando organizzo qualcosa che preveda la presenza di tanta altra gente (feste, uscite, vacanze ecc...), puntuale come la morte e le tasse mi si ripresenta l'elenco mica tanto virtuale dei "tipi" di persone che rispondono all'invito. Non né giusto né bello generalizzare, ma ogni tanto è divertente!
E voi di che tipo fate parte?

Ci sono ad esempio:

-i Precisi: alla domanda "ci sei il tal giorno?" rispondono subito SI o NO, senza esitazione. I precisi mi spaventano: hanno una tale organizzazione delle loro giornate da sapere in anticipo ogni momento libero. La gioia di chi prenota.

-gli indecisi giustificati: non sanno se ci saranno o meno, ma questa indecisione ha una ragione precisa. Si sentono in dovere di spiegare il perché non possono essere precisi raccontando la storia di tutta la loro vita presente e futura. Ok... Bastava un "te lo dico fra un paio di giorni".

-gli indecisi onesti: non sanno se possono esserci, punto. Di solito te lo fanno sapere quando sono sicuri. I migliori, sono ormai una razza in via di estinzione.

-i voglio sapere: non ti daranno una risposta finché non sapranno quanti siete, dove si va, che tipo di locale è, quante ragazze single ci sono, che tipo di musica fanno e l'ascendente del barista. Di solito declinano all'ultimo perché hanno saputo che in quel locale mettono musica free-jazz e loro sono ormai passati al soft-punk.

-i presi nel vortice: ci saranno, ma arrivano più tardi perché tornano quello stesso giorno dalle Maldive e spesso andranno via prima perché stanno per inaugurare un nuovo locale afro-svedese a Casalpaciocco e non si può mancare.

-i non lo so cronici: anche conosciuti come TYREAL ; ti tocca sempre ricordare loro il luogo e la data, perché se la dimenticano.

-i non lo so e non lo saprai mai: Li inviti e non ti sanno dire se ci saranno o no... E non te lo sapranno mai dire fino alla sera stessa, Quando te li ritrovi già al locale.

-i posso portare anche...: quelli che, invitano a loro volta tutti quelli che capitano loro a tiro. Talmente buoni e gentili che non possono evitare di estendere l'invito a tutto l'emisfero nord. Di solito, due ore prima della serata ti chiamano e ti dicono che "vengono anche cicciuzzo e pallotto con la ragazza, il cugino e sei fratelli, è un problema?"

-i comitiva: sono un gruppo. Sempre. Se ci sono, sono tutti, se uno di loro non può venire per un ginocchio sbucciato, non ci sarà nessuno di loro. Di solito si siedono vicini e parlano tra loro, unendosi al resto della combriccola solo per i brindisi e per la sosta al bagno (ma non sempre).

-i non mi va: arrivano incazzati. L'unico motivo per cui sono lì è per dire che il posto fa schifo, la cucina ribrezzo, le bevande vengono servite alla temperatura sbagliata e la musica è troppo alta. Di solito non declinano MAI un invito.

-i senno di poi: solitamente gli ultimi a dare una risposta, ma accompagnata con un "non si potrebbe andare da quel'altra parte che il locale è migliore?" quando tu hai già prenotato per ventisei e la cena è stasera.

-i culi di piombo: ci sono se qualcuno li passa a prendere, se il locale è vicino e se non si torna troppo tardi, perché sennò poi dormono male.

-i vi porto io: all'invito si comportsno come i "senno di poi" proponendo un'alternativa a loro dire SEMPRE migliore: più economica, più divertente, più facile da raggiungere e soprattutto dove "lavora un mio amico". Statisticamente da evitare.

-le colonne portanti: senza di loro non c'è serata che tenga.

-i ti invito perché devo: amici di amici, ragazzi/e di amici generalmente mal sopportati da chiunque, ma inevitabilmente legati a qualcuno che hai già invitato. Qualcuno che di solito è del tipo "posso portare anche..." o semplicemente un amante adorante.

-le coppie scoppiate: si sono lasciati e sono entrambi vostri amici; siete sicuri che invitare entrambi non sarà imbarazzante? Vi diranno che non c'è problema, che sono adulti e vaccinati e che sanno affrontare la cosa. Poi lei accetterà con entusiasmo le attenzioni del primo che capita e lui passerà la serata ubriaco a piangere sulla vostra spalla.

-i paccari dell'ultimo minuto: detti anche "si, si! ci sono di sicuro!", salvo poi smentire clamorosamente quando tutti sono già arrivati al locale. O peggio, semplicemente non si fanno vivi senza dare notizie. Comodo se c'è già un "posso portare anche...". I jolly della logistica.

-i semprealverde: di solito declinano l'invito perché sono a corto di valsente, tuttavia cercano di solito di spostare tutto il gruppo verso il locale più economico e fidato (e qui si finisce nella categoria "vi porto io") oppure consultano il menu disperati alla ricerca di quello che costa meno, osteggiando con furore il pagamento "facciamo il totale e poi si divide". Che diamine, loro il limoncello non l'hanno preso!

Alluminio&Carbonio e la notte della freccia arancione

-Svoltare a destra alla rotonda: prima uscita-
Già, svoltare a destra, me lo sentivo...
fra cinquecento metri svoltare a sinistra...svoltare a sinistra
No, così non va bene. Un TomTom su questo alluminio è dissonante quanto un Re minore sotto un accordo di Fa... Spengo lo scatolotto e lo appoggio sul sedile, muto televisore predittivo.
Eppure avevo un cd apposta per l'occasione.
Play
Seven deadly sins
Seven ways to win
Seven holy paths to hell
And your trip begins

Meglio.
E' notte, e questa pioggerellina campagnola tiene persino compagnia, è intonata all'ambiente e alla strada deserta.
Una strada buia e una macchina veloce.
Seconda terza quarta.
Suffocation waking in a sweat
Scared to fall asleep again
In case the dream begins again
Someone chasing I cannot move

Molto meglio.
Quella strada laggiù a sinistra, sì è per forza quella. Non ho bisogno di un TomTom, lo so, la macchina lo sa, o forse è la notte stessa che mi guida. Freni sterzo acceleratore. La Lotus è un guanto di alluminio e carbonio che scivola come velluto su una strada sinuosa come pelle di donna. Non scivolerò su queste curve.
Can I play with madness?
Ancora a sinistra, sì, in fondo a sinistra. A cosa serve sapere la strada quando è lei che ti porta? Sinistra. Destra sinistra. Sbaglio.
Living on a razors edge.
Balancing on a ledge.
Living on a razors edge.

Lungo sono lungo. Troppo veloce. Freno.
No, non è un'auto che sottosterza questa. Imbarda forse, morde e graffia magari, ma le curve le accarezza. Ed è solo uno scuotimento quello che avverto mentre il felino incollato alla strada non ha minimamente sofferto il cambio di traiettoria. terza quarta quinta.
Here they stand brothers them all
All the sons divided they'd fall
Here await the birth of the son
The seventh, the heavenly, the chosen one.

Nessuno prima, nessuno dopo, buio e curve. Qualcuno arriva e chiede strada, si incolla.
No, ti prego.
Non rompere un'alchimia con la volgarità di chi chiede una prova virile: io guido, non gareggio, non con te, non con la tua BMW. Corri via. Passa via!
Sterzo. Quella laterale sembra proprio fatta per me, quindi dev'essere quella giusta.
There's a time to live and a time to die
When it's time to meet the maker
There's time to live but isn't it strange
That as soon as you're born you're dying.

La strada mi conosce e mi porta a casa, la leva del cambio inusualmente a sinistra sembra muoversi da sola, le poche persone che incrociano questa campagna vedranno solo la scritta GT3 e una sottile scia arancione.
Non sbaglio una svolta anche se non so la strada. E la notte a indicare, io penso solo a guidare, circondato da alluminio e carbonio, da un guanto, da un felino, da una freccia.
Seven downward slopes
Seven bloodied hopes
Seven are your burning fires
Seven your desires.....

La tigre morde il freno, ma io sono arrivato... Lei è arrivata. E' ora di fermare la magia.

Salvo? Ci sei? Ti ho riportato l'Exige.
Il navigatore? Non mi è servito, me la cavo da solo

Le mie scarpe sono troppo strette

In questo angolo di campagna lombarda, tutto il tempo sembra scorrere più rilassato ed è facile guardarsi intorno, levar gli occhi dal tavolo e dai commensali e lasciar vagare lo sguardo attraverso il pergolato, fino alla strada non asfaltata e verso la torre, lassù sul colle. O semplicemente guardare gli altri avventori, ammiccare alle ragazze...
Due gambe, una gonna corta, un abito blu svolazzante. " carina... ma com'è giovane!" penso sorridendo... Ma poi lo sguardo sale oltre il vestitino e vedo un viso che mi guarda. E conosco quel visino.
Alice?
"Alice!"
"Tyreal!"
Lei mi aveva riconosciuto subito, ed io, imbecille, mi ero fermato alle gambe.
Alice, non puoi essere davvero tu! Aliciotta, bambinetta di poco più di dicei anni che mi rubava i gianduiotti e che voleva gli aeroplanini di carta di forme sempre diverse, Alice che saltellava intorno ad un me ventenne e noncurante, che aveva occhi solo per un'altra persona.
"Alice... sei... cresciuta!" (e sei bellissima).
Un sorriso, un sorriso pieno dei suoi vent'anni, di una bellezza semplice ma disarmante, gli occhi luminosissimi, la gioia personificata.
Ci abbracciamo e parliamo. Cosa mi sono perso, Alice? Il liceo, il diploma, l'università. Veterinaria? Ma dai? E quanto ti manca?
Un torrente in piena di entusiasmo.
Mi guardo in giro.
"E... tua sorella... è qui?"
Capisce.
"No, è a casa. Ha una bambina adesso, non lo sapevi? No? Ma perché non vi siete più sentiti? Non eravate rimasti amici?"
Alice, Alice, cosa vuoi che ti racconti? Tu eri piccola, ed eravamo piccoli anche noi. Cosa vuoi sapere? Della gelosia morbosa del suo attuale marito? Degli insulti e delle mezze parole? Ma no dai, è passata un'era geologica. Basta un frase di circostanza, sicuro che il suo ménage familiare sia la cosa che ora la rende felice, anche se non dipinge più, perché è un mestiere poco redditizio, a sentire il suo uomo.
Parlami di te, Alice.
Il torrente in piena mi avvolge ed è un misto di presente e passato che quasi mi schiaccia. Un profumo: un profumo quasi indefinibile di vaniglia, un profumo che devo aver sentito tanto tempo fa e di botto capisco, mi ricordo! Questo ero io!
Questa luce, questo entusiasmo, questa gioia nel vivere un'avventura... Si, c'erano! Io me li ricordo, li avevo anch'io! Dove li ho persi? dove li ho dimenticati?
"Le mie scarpe sono troppo strette", direbbe il vecchio, piangendo, "ma non m'importa, perché non mi ricordo più come si fa a ballare"
Non so se Alice percepisca, ma è uno splendore, sembra letteralmente illuminarsi, specialmente negli occhi neri neri. Passeggiamo lungo la stradina, godendo dell'aria primaverile di questo strano autunno e mi disseto da una certa temeraria insicurezza di una giovinetta che sta per conquistare il mondo solo sorridendogli. Cinque minuti fa ero al tavolo con persone poco più vecchie di me a parlare di futuro, di conti, di matrimonio, figli, auto e case. Prima erano i soliti discorsi a cui sono assuefatto. Adesso sono distanti anni luce, mi sembrano ancora sbagliati, mentre percepisco un'affinità nel modo di affrontare l'ignoto di Alice.

Di ritorno, solo, da questo curioso pomeriggio, mi ritrovo su una strada serpeggiante per la campagna, senza anima viva per centinaia di metri tutto intorno a me. Solo, due curve, nessuno in vista.
Perché no?
Affondo l'acceleratore, freno con decisione, butto dentro il muso, correggo e con un tocco di freno esco driftando dalla doppia curva, in diagonale con le ruote controsterzate. E rido come un deficiente.
Perché sono scemo, lo so, ma ho scoperto che qui dentro, da qualche parte, mi ricordo ancora come si fa a ballare.

Passo Carràààààbbile!!!!

Attenzione: nel seguente blog ci sono parolacce. Non tante, ma ci sono.
Cesare vive in un film.
Si, lui è convinto che il mondo sia un po' il suo palcoscenico personale, dal quale non scende mai, e si comporta sempre come se fosse sotto l'occhio di una cinepresa. Non ti dice "ciao", piuttosto ammicca "ehi, come ti butta?"... Una volta credo di avergli sentito profferire la frase "Chiudi il becco" in un impeto di stizza. Non ne sono sicuro, ma non mi stupirei se l'avesse fatto. Orbene, Cesare è artista non solo a parole ma di fatto, vivendo in un suo stile bohémièn fatto di ritardi, disordine e una certa qual gioiosa confusione generale. Insomma, quando accompagno Cesare da qualche parte si può star sicuri che l'aneddoto è dietro l'angolo, e stavolta l'ho preso proprio in faccia.
Capita dunque che mi ritrovi sulla sua pittoresca Clio nelle vie della Metropoli parlando del più e del meno e sospirando ad ogni manovra equilibrista tra i sensi più o meno unici (perché la strada ha le sue regole, ma quelle di Cesare sono più duttili), mentre il pilota creativo fuma, risponde al telefono, apre negoziati con gli altri utenti della strada e, a tempo perso, guida.
Dopo innumerevoli svolte sbagliate (perché le cartine stradali hanno le loro regole, ma quelle di Cesare sono più restrittive) arriviamo a destinazione ma, come è consueto nella nostra città, non c'è parcheggio.
Niente paura, Cesare butta l'auto davanti ad un cancello e mi chiede di aspettarlo mentre va a fare le sue commissioni. Sto per replicare che proprio dietro di noi, un mastodonte nero con gomme da schiacciasassi e minaccioso marchio teutonico deve entrare proprio in quel cancello, quando vedo con orrore che Cesare sta scendendo dall'auto e con piglio da Clint Eastwood mi dice "spostala", mentre si avvia con totale noncuranza verso il lato opposto della strada.
Il TurboSUV nero qui dietro suona il clacson.
Esco di corsa, faccio il giro dell'auto e mi metto alla guida... Che è a misura di Cesare, quindi con sedile appiccicato al parabrezza.
Mi incastro alla guida, accendo la vettura, metto la retro...
Metto la retro... metto la retro... metto la retro.
Ma allora entra o no sta stracazzo di retro?
Il MegaturboSUV nero ri-suona il clacson.
Terrore. Ho un flashback: due mesi prima, Cesare che mi dice qualcosa a proposito della sua auto... della retro che non entra...
Bestemmio. Non lo faccio mai, ma questa volta si.
Si apre la portiera del TurboMegaCruccoSUV ed esce una donna.
Bionda. Bella. Inguainata in un tubino nero con spacco laterale e acconciata come Veronica Lake. 35 anni, non di più.
Urla.
Voce stridula, una rasoiata su una lavagna, un'ira seconda solo a quella funesta di achilliana memoria.
"E' un passo carààààbbile non si è accorto che è un passo carààààbbile! Ma non lo vede? Ma è deficiente? E' un passo carààààbbile!"
Cosa le dico? COSA CAZZO LE DICO?
"Signora.. la retro... quell'idiota..."
"E' un passo carààààbbile! Ma io dico! Ma non lo vede? MA allora chiamo i vigili! E' un passo carààààbbile!"
E' paonazza, fra poco esplode lì e rimane soltanto il tubino. Invece se ne va, sempre urlando "E' un passo carààààbbile!" e rientra sul suo IperMegaTurboSUV (col FAP).
Esasperato metto in folle e scendo.
E spingo.
E spingo quella cazzo di Clio butterata da urti e ruggine e impreco verso Cesare e verso l'intubinata.
Stronzo...Puttana...Stronzo...Puttana... a denti stretti per mascherare il labiale.
Al trentesimo "stronzo" ho liberato l'accesso al passo carààààbbile!", ma c'è la fila di veicoli che vuol passare e io blocco la strada.
Al cinquantesimo "puttana" getto la vettura davanti ad un altro cancello, riproponendomi di mollarla lì e scappare.
Poi, rimessa la testa a posto mi sfogo sulla leva del cambio, che entra al primo colpo in retromarcia.
Tiro un calcio alla leva e la piego.
La suora che vede la scena mi fissa con terrore.
Cesare ariva dieci minuti dopo tranquillo e caracollante esordendo con un "todo bien?".
Non sapendo se colpirlo allo stomaco, percuoterlo col paraurti della sua Clio o semplicemente investirlo, mi limito a sospirare.
"ah, non ti ho detto che non funziona la retro"
Come non detto, il pugno nello stomaco andava bene.

Stica!

Nell'ambito di una migliore comprensione interculturale, parleremo oggi del termine Sticazzi.
Nato nel Lazio, il termine cambia radicalmente significato oltre il Po: l'hinterland milanese, ha infatti stravolto la vera essenza dello Sticazzi intendendolo come un "accidenti", "perbacco", perdindirindina", quando il suo significato originario è completamente diverso.
Sticazzi, infatti non è assimilabile a me'cojoni e non è assolutamente indice di ammirazione, ma anzi rappresenta una pura presa per il culo.
Questo muro linguistico ha causato numerose faide tra milanesi e romani per via della diversa interpretazione data (in pereftta buon fede) allo Sticazzi.
Quando un milanese vi dice Sticazzi lo fa perché è sorpreso/ammirato da quello che gli state dicendo (je state a 'ddi) e non sta a pijiarvi per culo
Quando un romano vi dice Sticazzi è troppo tardi: vuol dire che avete già detto una cazzata.
E sticazzi!

Novecento

«Tutta quella città... non se ne vedeva la fine...
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?
E il rumore.
Su quella maledettissima scaletta... era molto bello, tutto... e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema.
Col mio cappello blu.
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino...
Primo gradino, secondo gradino.
Non è quel che vidi che mi fermò.
È quel che non vidi.
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi... lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne.
C’era tutto.
Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare.
Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu.
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni e miliardi
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita.
Se quella tastiera è infinita non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
Cristo, ma le vedevi le strade?
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una.
A scegliere una donna.
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di.
Morire.
Tutto quel mondo.
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce.
E quanto ce n’è.
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla...
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra...quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò.
Lasciatemi tornare indietro.
Per favore»

Le dimensioni... contano!

Ho scoperto che alcuni oggetti cambiano di dimensione come per magia. I televisori, per esempio.
Sono stato al centro commerciale per trovare un sostituto al mio 21 polici ormai moribondo e, dopo essermi perso tra le lucine sfavillanti, ho cominciato a cercare l'apparecchio che mi interessava.
Ecco, quello va bene! No, un momento... è un 32 pollici! Ah allora quello, che è più piccolo... No, è un 29... Ma dove li tengono quelli più piccoli?
Chiedo ad un commesso che mi indica (con sprezzo) un oggetto che lì dentro sembra grosso più o meno come un posacenere, uno schermettino da cellulare se confrontato al mostro Plasmatico da 42" che è proprio lì di fianco. Potrei mettermelo nello zaino, tanto è piccolo. Macché zaino, nel portafogli!
A casa, il minuscolo televisore è diventato grosso come un armadio.
Apri il cartone, estrai il polistirolo e ti accorgi che devi sgomberare la sala da tavoli e scrivanie, altrimenti il colosso catodico non ci sta! E' lo stesso di prima, non c'è dubbio, ma è grossissimo!!! E pesante! Il peso aumenta in base a quanti piani di scale devi fare per portarlo al suo posto. E' un teorema che mi varrà il nobel per la Pace, me lo sento.
Messo al suo posto, il CatodiColosso sebra voler schiacciare il mobile sotto il suo peso. Il lettore DVD è terrorizato (si vede dall'espressione); forse è quello il motivo per cui non si riesce più a collegerlo correttamente.
Già, perché quello che non si vede nei patinati depliant pubblicitari che fotografano elettrodomestici lucidi come la plancia dell'Enterprise, è la quantità immensa di cavi che si dipartono dal pannello posteriore e che, per una curiosa legge fisica (e in quanto tale ignorata e schifata dai designer) tendono a ruotare spontaneamente per avvitarsi e annodarsi in una sorta di amplesso elettronico. Dietro ad ogni TV-Color c'è una giungla di gomma e rame che cela chissà quale mistero sotto le sue spire. Siete avvisati.
In tutto questo bailamme ho scoperto che esiste un Punto Fermo: c'è una cosa che non cambia di dimensioni: è una costante universale, al pari di velocità della luce, gravitazione universale e attrazione donna-scarpa: L'IMBALLO.
L'imballo è sempre grosso uguale, sia che tu prenda un TomTom o una lavatrice ed ha delle dimensioni codificate dal sistema internazionale dei pesi e delle misure.
Un imballo è grande come un monolocale, sempre.
Al massimo varia di qualche millimetro in lunghezza e larghezza, ma per far entrare un imballo nel bagagliaio della 147 non esiste altro metodo che segare via il tetto. Della 147, non del monolocale.

20 settembre 2007

Mi dai il numero di casa?

Aneddotino -ino -ino in due parti.
Ovvero la storia si ripete!

-Agosto-
Mi capita di dover contattare un conoscente di Anya, di cui però non ho recapiti telefonici; approfittando della vicinanza al suo domiclio, decidiamo di andare a fargli visita e dopo poco tempo siamo proprio sotto al suo uscio, in una bellissima casa di ringhiera rimodernata.
Il tizio in questione non c’è, ma dopo aver scampanellato esce dalla porta di casa il figlio, notevolmente assonnato e vestito praticamente con una coperta!
Consci di averlo svegliato dopo una notte brava (sono circa le due del pomeriggio) ci scusiamo e gli chiediamo notizie del padre.
“E’ uscito, credo…” articola lentamente
“Per caso puoi darci il suo numero di cellulare?”
“No… guarda, non lo usa!”
Ok niente cellulare. Non mi resta che chiedergli il numero di casa, così posso richiamarlo più tardi:
“Va bene… Senti, puoi darmi il numero di casa?”
Quello ci pensa su un attimo, si sporge, guarda il civico di casa sua ed esclama con sicumera:
“UNDICI”!

-oggi-
Un’amica di vecchia data si fa viva e mi annuncia che sta seguendo un corso d’aggiornamento in una sede vicino a casa mia.
Cavallerescamente le offro un passaggio e un aperitivo e lei accetta: finito l’orario del corso la passo a prendere, ci salutiamo e mi presenta una sua collega, che per l’occasione si aggrega all’aperitivo.
La conversazione è rilassata e brillante e ben presto scopro che la suddetta collega sta cercando qualcuno che le realizzi un sito web. E’ proprio la mia amica ad indicarmi come papabile per il lavoro ed io, confermata la mia disponibilità, le chiedo di contattarmi più avanti per metterci d’accordo sui dettagli. Prendo il cellulare per il solito rito di scambio numeri e lei va un attimo in panico:
“oddio non ho il cell… l’ho lasciato a casa!”
“beh, non è un problema… basta che mi dai il numero: al massimo ti mando un messaggio per ricordarti chi sono”
“ehm… il mio numero non me lo ricordo mai”
“… Vabbé, senti, dammi il tuo numero di casa, se non è un problema”
“SETTE!”
“…?”
“Eh abito in via Piave al numero sette!”

Ora… sbaglio qualcosa, è un’epidemia o li incontro solo io?!?

28 agosto 2007

Aiuto?

Ho sentito un'amica poco fa. Beh, in passato per me è stata più che un'amica, ma questo ora non c'entra.
Poche parole... A volte quando ci si conosce da tanto non servono frasi molto lunghe...
Mi ha colpito più che altro una sua risposta, data in un momento in cui lei non è proprio in forma, in cui ci sono problemi che devono essere risolti. Cose della vita, insomma.
un "non so se ce la faccio a riprendermi"mi ha lasciato parecchio pensieroso. Chiedendomi più che altro cosa comportasse una risposta del genere... Come possa sentirsi una persona consapevole del fatto che, forse no, non si riprenderà... E mi è rimasto un vuoto abbastanza amaro dentro.
Non ho proseguito più di tanto la telefonata, lasciando un vago riferimento al fatto che in caso di bisogno siamo qui e là e cose così, più che altro incapace di lasciare un segnale chiaro e sicuro che di aiuto io ne possa dare.
Chiariamoci, io farei tutto per aiutare questa persona, ma in certe circostanze semplicemente mi è ignoto quale aiuto potrei dare, e quasi sempre subentra il timore di essere invadente, di troppo, causando più problemi che altro.
Rimane così un certo malessere nel dubbio che forse avrei potuto parlarle di più o che forse le ho già parlato troppo... chiedendomi se è addirttura il caso di scrivere un diario come questo.
Di certo so che vedere persone care soffrire per qualsiasi motivo è una cosa sfibrante al limite dell'insopportabile.

27 agosto 2007

Layla

Il giorno che conobbi Layla la feci ridere. Non so esattamente quale facezia mi inventai per l'occasione, ma ricordo che lei spalanco gli occhioni azzurri e rise in maniera quasi sguaiata. Gli amici ci fissavano con un misto di stupore e spavento; un paio erano esterrefatti, una scappò al bagno, l'altra si fece il segno della croce, uno addirittura (mi hanno detto) si iscrisse poi a ingegneria. Il ragazzo accanto a me mi spiegò "Hai fatto ridere la Garbo".
In realtà Layla non è mai stata così... Semplicemente era impossibile capire cosa la colpisse emotivamente, almeno all'inizio. L'immagine che dava era quella di persona algida, impassibile. Non altera, non con la puzza sotto il naso, ma mai divertita o addolorata oltre il limite della cordialità.
La prima volta che andai a casa sua mi immaginavo di trovarla in una di quelle tenute inglesi, tra levrieri, green, e servizi da te, magari con abito di lino e gran cappello bianco; ecco era perfetta per il ruolo chic/decadente/aristocratico... Certo, non credevo esistessero molte tenute principesche in zona Città Studi, quindi non mi stupii più di tanto di essere invitato in un comune appartamento arredato in un modo normalissimo.
Ecco Layla in quel momento mi parve un arredamento anni '70. Non parlo della casa, parlo di LEI. Quei locali che si vedono nei vecchi telefilm del periodo, in cui sembrava che il futuro riservasse tinte accese e pastello le une accanto alle altre e mobili dalle linee minimaliste e tondeggianti. Un misto di Ufo Shado e Arancia Meccanica: un sacco di colori e impressioni compresso in una rigida geometria, ma non forzata o repressa, solo tranquillamente naturale.
Quanto al ridere, ah quello è tutta un'altra storia.
Conoscendola meglio mi accorgevo che aveva un gusto talmente poliedrico da essere "strano": poteva restare impassibile a tempi comici perfetti o scoppiare a ridere alternativamente di fronte alla battuta più pecoreccia della terra o al cambio di espressione di un attore shakespeariano durante una fase concitata di una commedia per palati fini; poteva commuoversi allo stesso modo per un dramma a lei vicino o per la morte di un personaggio nel telefilm preferito e restare totalmente impassibile in situazioni che farebbero perdere la testa a molte persone.
Nel confuso delirio febbricitante dei giorni scorsi, Layla mi ha tenuto un po' di compagnia; non sarò stato un granché come ospite con 39 gradi celsius sulla fronte, ma il bello delle persone come lei è che nel bene o nel male sanno mantenere un'aggraziata e cordiale espressione di condiscendenza.
E' sabato e, mentre mi riprendo, lei decide di guardare un po' la tv con me e, dopo un rapido e preciso giro di ispezione dei canali si ferma sul profilo noto e corpulento di Bud Spencer.
"Due superpiedi quasi piatti", da piccolo non me lo perdevo mai, adoravo quei due scazzottatori folli... Ma figurati se Layla...
"Ohh Bud Spencer e Terence Hill!"
No dai... non dirmi che...
Lo vediamo tutto. Alla scena in cui il buon Bud sta per addentare il panino, lo chiamano alla radio e lui brontola "C'ho l'hamburger che fa contatto", Layla esplode.
No, non ride, esplode!
Sghignazza incontrollata, fino alle lacrime e praticamente fino alla fine del film; nei pochi momenti in cui si riprende un'altra battuta la squassa nel profondo:
"Sposta la testa che te la cionco"
*Sospiro* ridarella incontenibile
"Sono rose finte, durano financo quattro anni"
*risata interrotta* "financo quattro aaaahhhahhh!" *sghignazzata da cattivo dei cartoni animati*
"Mi appecorono alla sua bellezza
*urlo liberatorio seguito da risata sommessa*
Io ho paura. La Garbo ride!!!
Ma anche dopo aver usato tutti i suoi bonus risata degli utlimi quattro anni, Layla non è il tipo da accusare conseguenze. Dopo soli pochi minuti anche il segno delle lacrime è scomparso, solo una certa luminosità del viso suggerisce lampi di gioia dopo una tempesta di emozioni.
Bene cara Greta, ho un po' di dvd da recuperare per i prossimi weekend...

16 agosto 2007

Svezia/4 - Ritorno

Sosta di rito a Jonköping per le foto ai fiori gialli che riempiono campi sterminati e poi via fino a Lund, città tra le più antiche della Svezia, ma stavolta caratterizzata più che altro dalla pioggia battente, passando poi per Granna Visingo, presso un castello che non vedremo mai, a causa di difficoltà nell’interpretare le indicazioni turistiche!
E torniamo a Copenhagen, attraversando e fotografando il ponte sull’ Ørendsund e tornando alla città che ancora una volta è coperta da nubi piovose… Non troviamo un ostello nemmeno a piangere in danese, sarà perché è venerdi, e siamo costretti a prendere una stanza in periferia. L’ufficio del turismo ci da l’indirizzo sbagliato e ci perdiamo; telefoniamo alla signora che gestisce il b&b e ci facciamo fare lo spelling dell’indirizzo corretto: un coacervo di J,Y,V,H e simili, per un totale di una trentina di lettere.
E’ incredibile, ma arriviamo senza intoppi (grazie al navigatore, sia lodato il suo inventore) e la nostra ospite si rivela essere giovane, sulla trentina. Non uno splendore ma… va bene, va bene, bando ai pensieri sconci!
La stanza è carina, grande e completa di tutto, un po’ uno spreco per una sola notte, ma vabbé…
Approfittiamo delle ultime luci del giorno per andare alla Sirenetta nella zona del porto… Incontriamo anche un gruppo di genovesi pronti ad imbarcarsi in una crociera verso S.Pietroburgo e insieme ammiriamo la statua, persa in mezzo a un molo portuale commerciale.
Bella, niente da dire, ma assolutamente non valorizzata… Un degno simbolo di Copenhagen.
Alla fine la mazzata serale: non abbiamo nessun puntelo in Germania, quindi l’ultima tappa è in forse, non sapendo dove andare a dormire.
Decidiamo di fare la tirata.
Copenhagen-Milano con soste dove capita, con escursioni a Frankfurt, Baden Baden, Strasbourg, al lago di Altdorf e poi via via fino a casa, dormendo solo un po’ di straforo in aree di sosta tedesche gestite da autoctoni a volte maleducati, a volte gentilissimi.
E l’arrivo, ormai stravolti.
A volte non conta la destinazione, ma il viaggio.

15 agosto 2007

Svezia/3 Stockholm e dintorni

La prima giornata nella capitale è da antologia, con visita alla città vecchia e tante tante foto. Il palazzo reale è ampio e sobrio, ma non imponente. Idem la cattedrale, idem il palazzo della Borsa, in cui vengono assegnati i premi Nobel… Non vedo mai ricerca di maestosità, solo piazze raccolte, case pulite, vie ordinate ma ugualmente colorate e vivaci. Pulito, ma non asettico alla viennese, vivo, ma no chiassoso alla teutonica, nordico, ma non provinciale alla Copenhagen… mi piace!!!
Ci perdiamo in Gamla Stan per ore… Ci si sta bene, è riposante. E illusi da questo benessere il giorno successivo ci tuffiamo nella parte più moderna: più che una passeggiata, un massacro! Giriamo in lungo e in largo e vediamo decine di scorci fantastici, ma nessuno rivaleggia con Gamla Stan. Optiamo per il grande parco a est, ma rinunciamo alla visita al Vasa, un po’ troppo gettonata e costosa, idem (e a mio parere è stato un errore) ci perdiamo lo Skansen, ma siamo stanchi: è tutto il girono che rimbalziamo da Kungsholmen (il vecchio municipio) a Djurgården passando per la city… e l’idea è che questi giganteschi giardini siano un po’ troppo dispersivi. Ci riposiamo un po’ all’ombra degli alberi, contemplando il volgere al termine di una giornata per noi insolitamente lunga, visti gli orari di alba e tramonto dell’estate svedese.
E arriva il terzo giorno.
Prima però cambiamo camera e abbiamo modo di conoscere i simpatici compagni di stanza della camerata: è una compagnia eterogenea e alla mano, con un signore anziano e solitario ma dalla battuta pronta, madre e figlio colombiani impegnati in un tour da suicidio che in 15 giorni li porterà a visitare parecchie città europee, comprese Parigi e Roma, due simpaticissimi sloveni che tengono banco prendendo in giro gli altri avventori, una deliziosa e giovane ballerina biondissima accompagnata dalla madre, un ragazzo israelianoche ci racconta di come avviene la… circoncisione (brrr…) e altri. Ciliegina sulla torta, un giovane ricercatore torinese trapiantato a Parigi e abile nella giocoleria ci incanta quasi per tutta la sera lanciando le sue palline in aria… e così giocando e scherzando passa la serata.
E arriva, dicevo, il terzo giorno.
Giorno di escursioni: prendiamo l’auto e giriamo i paesi dei dintorni.
Sono carinissimi! Mariefred, piccolo e sperduto, è forse il più bello con le sue casette rosse in legno e il bel castello sul lago. Molto particolare è anche la mini-ferrovia che sembra un giocattolo, ma viene realmente usata per tour dei dintorni, mossa da una pittoresca locomotiva a vapore non più grossa di un’utlitaria.
Dopo le foto di rito è la volta di Strängnäs, paese che accoglie il visitatore presentando un magnifico porticciolo dominato da un mulino a vento; anche qui foto a profusione e pranzettino veloce ai baracchini del porto, gestiti da ragazze simpaticissime.
Visitamo poi la chiesa e abbiamo la confermadi ciò che avevamo già appurato: in tutte le chiese della zona, siano esse di provincia o cattedrali, esistono spazi appositi per far giocare i bambini; nicchie in cui solitamente ti aspetteresti la tal statua o cappelletta ospitano invece tavolini, panche, peluches e giocattoli, il tutto opportunamente posto sotto luminose vetrate. Davvero curioso!
Dopo i paesi dei dintorni è la volta di Uppsala, città più famosa per le università che non per le meraviglie artistiche. Fa eccezione la cattedrale, vertiginosamente gotica con le sue guglie gemelle e la struttura ardita, ma è davvero l’unica cosa degna di nota nella cittadina, non fosse altro per la tomba di Linneo, incastonata nel pavimento e circondata da fiori e piante. Appropriata! Sempre nella catedrale riposa il re Gustav Vasa, in una grande cappella adorna delle scene della sua vita e accompagnato dalle sue tre mogli. Poco discosta dalla cappella, una statua di donna in abito monacale sembra voltarsi a guardare la tomba del re. Il dettaglio e la precisione della statua la fanno sembrare vera. Un personaggio storico? Una ntico amore? Non ho modo di accertarmene.
Più curiosa Gamla Uppsala, la città vecchia distante un paio di chilometri… più che città vecchia sembra il paese delle bambole! Casette pastello piccine divise da viuzze strette e orticelli e quasi nessuno in giro: sembra più un campeggio con bungalow che una cittadina. Ci aggiriamo un po’ tra queste case di bambole per poi decidere di tornare al nostro ostello a Stoccolma.
Ed è giunto purtroppo il giorno della partenza.
Lasciamo Stoccolma con tristezza, considerato quanto sia bella, e partiamo alla volta della Danimarca ricordandoci quanto fosse deludente.
[3- continua]

14 agosto 2007

Svezia/2 Frankfurt-Copenhagen

Il viaggio verso Copenhagen sembra eterno, è infatti la tratta più lunga prevista, ma è fortunatamente spezzata dalla traversata di un braccio di mare via nave; imbarchiamo auto, armi e bagagli e veniamo stipati in un parcheggio galleggiante affollato come l’Ikea al sabato pomeriggio. Decisamente è meglio farsi un giro sul ponte superiore. Affrontato il solito percorso-supermarket per turisti con portafoglio gonfio, decidiamo di affrontare la traversata all’aperto, sferzati dal vento, e così mi ritrovo ad ammirare il panorama dalla balaustra del traghetto sorseggiando un orribile caffè stile Starbuck costato la bellezza di tre (TRE, 3!) euro; non manco di meravigliarmi per il numero di torri eoliche che si scorgono sulla costa, su ambo le coste, ora che sono visibili entrambe, e che già avevo scorto dall’autostrada. Una selva di eliche bianche. Che belle!
Ma è ora di sbarcare! E dopo due lentissime ore di autostrada… Copenhagen.
E Copenhagen sia!
Peccato che non mi sembri poi sto granché… Non so, sembra quasi ammuffita, stantia: ha un’immagine molto provinciale, ma è tutto fuorché viva. Sarà la pioggia, sarà quella baracca di ostello che abbiamo trovato, ma non mi convince; canonico giretto in centro con qualche scorcio per foto interessante e poi a nanna: domani voglio arrivare in Svezia!
La camerata dell’ostello è arredata in modo ingegneristico: letti a castello disposti ad elle in modo da incastrarsi per sfruttare al massimo lo spazio della stanza, letti di legno di quelli che scricchiolano al minimo movimento. Laura trova una nicchia perfetta per appoggiare la sua roba, io mi limito ad abbracciare il mio borsone: la porta d’ingresso è infatti senza serratura.
Tutto sommato si dorme bene e la stanza resta semivuota; ho anche modo di scambiare due chiacchiere con un compagno di camerata napoletano, che condivide la mia visione un tantino ipercritica dell’ostello, ma chi se ne importa! Siamo in partenza per la Svezia!
Ed è passando sull’imponente ponte dell’ Øresund che in svezia si arriva: un gigante di acciaio e cemento, quasi invisibile nella foschia, ma da bocca spalancata quando si passa in mezzo ai piloni; l’Alfa compie il suo centomillesimo chilometro proprio sul ponte, e la Svezia è ora alle porte.
Il panorama cambia in meglio e nonostante una bufera nei pressi di Jonköping rimaniamo incantati nell’osservare le casette rosse e i curiosi prati costellati da fiori giallissimi (denti di leone?) che creano distese a perdita d’occhio.
Ci divertiamo a pronunciare i nomi dei paesi con l’inflessione corretta e, mentre il tempo passa facciamo sosta mangereccia proprio a Jonköping sotto l’acqua battente. E’ una cittadina come tante, in mezzo ad una via di comunicazione principale, ma non manca di incuriosirmi: le case (pur nel consueto stile legno-color-pastello) sembrano non avere fondamenta, quasi fossero prefabbricate.
Laura si ferma all’ H&M (quasi d’obbligo, visto che è una catena svedese) e ne esce con una bella sciarpina dorata: acquisto lungimirante, visto quanto le servirà nei ventosi giorni successivi.
Ed è finalmente l’ora di arrivare a Stockholm! L’impatto non è dei migliori con questi tunnel e svincoli costellati da lavori in corso, persino il Tomtom va in crisi ed è con un certo astio che mollo l’auto nel primo posto che capita (non senza una inversione “sporca” molto in stile milanese) per cercareun benedetto ufficio informazioni che ci dia l’indirizzo di un buon ostello.
Col senno di poi mi viene da ridere: il “primo posto che capita” è il parcheggio del Palazzo Reale e non me ne accorgo fino ad un successivo sguardo attento alla mappa, mentre il “buon ostello” si rivela una favola!
Siamo all’Af Chapman, solitamente un battelo ormeggiato di fronte a Gamla Stan (città vecchia: il centro storico), sull’isola in cui c’è il museo d’arte moderna e altro.
Nel nostro caso il battello non c’era per via di lavori all’approdo, ma un edificio lo sostiutiva egregiamente, consentendomi perfino di parcheggiare proprio di fronte. E non stiamo parlando di un palazzo tra i vicoli, ma di una discreta costruzione immersa nel verde e fronte mare, circondata da prati curatissimi e una atmosfera da campus universitario.
E le stanze! La prima sera una tripla, con finestra direttamente affacciata sul mare e su Gamla Stan, le serate successive in un bel sottotetto architravato adibito a camerata. Curata, pulita (beh, forse un po’ polverosa) con tanto di tavoli e sedie… quasi non vedo l’ora di dormirci.
[2-continua]

13 agosto 2007

Svezia/1 Milano-Frankfurt

E’ difficile iniziare un diario di viaggio quando il viaggio è già cominciato da quattro giorni. Sembrano passati mesi, in realtà, da quando siamo partiti.
Milano-Stoccolma in auto, pazzia?
Forse.
La mia silenziosa compagna di viaggio non stacca gli occhi dalla strada. Servono compagni di percorso con nervi saldi per sopportare gli screzi che inevitabilmente sorgeranno in giorni di convivenza forzata… ce li avremo? Potremo dirlo solo alla fine…
Eppure adesso sono qui, di fronte al palazzo imperiale di Gamla Stan a vedere un tramonto interminabile.
E’ un bel posto, l’ostello è proprio di fronte alla cità vecchia, la si abbraccia con la vista quasi nella sua interezza e tra me e il palazzo imperiale c’è solo uno stretto canale frequentatissimo di battelli di ogni tipo, comprese grosse navi da crociera…
Un momento, un momento, andiamo con ordine e partiamo dall’inizio. Torniamo alla partenza, che come molte altre partenze si concentra nel rito dello Stipaggio del Bagaglio e nel lasciarsi alle spalle le zone conosciute per addentrarsi lentamente verso paesi che si conoscono meno.
E’ Friburgo la nostra prima tappa, quasi a celebrare l’ingresso in Germania lasciandosi alle spalle i Cantoni Federali Extracomunitari altrimenti noti come Elvezia (cfr. De Bello Gallico), caratterizzati da un panorama bello ma anonimo, forse viziato dalla mia idea grigia della Svizzera o da una certa frenesia nel voler andare, vedere, arrivare e lasciarsi indietro.
Friburgo, si diceva.
Avevo già visto questa bella cittadina, ma in una giornata piovosa per una visita di corsa… questa volta è andata meglio: un bel sole ci ha concesso di vederla per bene… Ma cosa c’è qui oggi? Sembra una sorta di ricorrenza religiosa, anche se in realtà si tratta della Festa di Primavera e decine di ragazzini a metà tra boy-scout e chierichetti sfilano in città, dalla piazza del nuovo Rathaus fino alla cattedrale gotica di arenaria rossa , la stessa arenaria di Notre Dame de Strasbourg, che è di fatto a pochi chilometri da qui. Girare la città è anche guardare i curatissimi canaletti di scolo dell’acqua che corrno ai lati di ogni strada, veri fiumiciattoli limpidi, è visitare viuzze curiosamente simili ai carrugi liguri ma investiti dall’ odore di pietanze di ogni tipo, vista la quantità di affollati ristoranti e bistrot stipati in ogni angolo della città vecchia, magari con vista sul fiume, quello vero. Friburgo si gira in un oretta, il tempo di saziarci con un bretzel e di fare foto a scorci caratteristici, e poi siamo di nuovo in auto, alla volta di Frankfurt.
Il Tomtom fa il suo dovere e ci porta al quartiere Höcst dove abita una vecchia amica che ci ospiterà per la notte.
Monica è felice di vederci e si dimostra un’impeccabile guida, oltreché attenta ascoltatrice. Facciamo una puntatina a Francoforte centro (mitten stadt), dove ammiriamo gli avveniristici grattacieli della city, ci stupiamo dei conigli che girano liberi e tranquilli nei parchi all’ombra dei grattacieli e poi ci perdiamo un po’ nella parte storica.. Proprio in quel giorno si tiene una gara podistica e tutto il centro è affolatissimo: non riusciamo praticamente a vedere la piazza centrale, anche se la riscopriremo al ritorno… riusciamo però a svicolare e a perderci un po’ nelle vie più vecchie, semideserte. La città sembra tenere molto al suo patrimonio storico, ma è indubbio che il cuore pulsante è ormai quello moderno, Francoforte vive di futuro.
Lo storico lo troviamo proprio nella frazione di Höcst, in cui ci dilunghiamo nella serata: case in legno multicolori e decorate, un’aria pulita e a volte fiabesca e tanti scorci da fotografare; in conclusione festa di paese con birra e salsiccia annessa e che fatica far capire alla barista che di birra me ne basta una! Il bicchiere continua a riempirsi! Anche la mia compagna di viaggio solitamente abituata al pasto frugale sembra gradire, sarà merito dela simpatia dei gestori delle bancarelle? Può darsi.
Ed è già il secondo giorno.
[1 - continua]

26 maggio 2007

Tanti auguri a me!

Quando ero piccolo (tutti mi scherzavano, cit.) mangiavo poco, veramente poco. A dirlo ora non si direbbe, ma ero la disperazione di mia madre. Provava con qualsiasi tipo di pietanza, ma io rifutavo qualsiasi cosa e restavo pelle ed ossa: ricordo la maestra in prima elementare guardarmi impressionata dalla mia magrezza... Si, lo so che adesso sono una corazzata, ma si parla di tanto tempo fa!!! Eppure c'erano quelle due o tre cose che amavo. I dolci, quelli sì! Li ho sempre apprezzati, ma mica tutti: ero sschizzinoso anche con quelli.
E poi c'erano gli arancini di riso.
Non quelli che fanno in gastronomia, pieni di condimenti, formaggio, burro fuso e prosciutto (BBONI!), ma una versione "light" solo riso e piselli e una leggera impanatura... Ci andavo pazzo. E così nacque una specie di tradizione: ad ogni compleanno mia madre si metteva di buona lena e faceva una terrina piena di arancini, per me e per i miei amici, ed io li ho sempre divorati.
Oggi compio trentun anni. Trentuno!!! Mi viene quasi da ridere a pensare che ho passato i trenta, che sono adulto, ma certe cose non cambiano, o almeno non vorrei che cambiassero.
C'è mia madre nell'altra stanza: è arrivata da me con una terrina piena di arancini di riso. Sono buoni in modo commovente.
Tanti auguri a me!

7 maggio 2007

Miriam

Miriam è stata in assoluto la donna più bella e intrigante che abbia mai conosciuto. Me ne innamorai quasi subito, un colpo di fulmine così forte ed improvviso da lasciarmi più che stordito, direi quasi drogato. Di Miriam desideravo qualsiasi cosa, ne ero semplicemente ebbro. Fu un estate indimenticabile e nel contempo durissima, spezzata dal suo innamorarsi a sua volta di un altro, ma finché durò fu una sorta di pazza gioia che non avevo mai provato prima. Mai, mai mi sono innamorato in modo così intenso e travolgente, mai ho adorato una persona fino al midollo in quel modo. E non avevo 15 anni.
Il distacco per me è stato drammatico, da uscirne quasi folle, da non capirci più nulla. Mi sembrava semplicemente di non essere in grado di contenere tutti quei sentimenti dentro di me, erano semplicemente troppi.
Ci ho messo un paio di anni a riprendermi, forse anche tre, e lentamente Miriam ed io siamo diventati amici. A volte il desiderio di lei mi riprendeva, ma nel frattempo la tempesta si era placata e un certo equilibrio a fatica era stato riconquistato.
Ci si vedeva saltuariamente, uscivamo insieme e ridevamo di gusto... Ma sentivo che quel legame che mi aveva così dispertamente coinvolto non era mai stato spezzato come avrebbe dovuto.
Ieri ho visto Miriam e abbiamo passato un po' di tempo insieme, parlando del più e del meno. E poi d'imporvviso mi sono reso conto che lei era soltanto un bella persona. Nessun piedistallo, nessuna adorazione. Lei, un'amica che mi conosce meglio di tante altre, bella come e più molte altre. Ci baciamo sulle guance... Miriam ha l'alito un po' pesante. Mi rincuora pensare che anche lei è tornata nel mondo dei comuni mortali. Se è facile adorare un'idea, di una persona posso essere amico.

5 maggio 2007

Welcome

Nuovo Anno, nuovo Blog.
Si, lo so che siamo a Maggio, ma il nuovo blog va bene anche adesso!!!

Giù

Oggi sono spento... Sarà l'anomalo sonno che mi ha sorpreso stamattina e che mi ha decisamente scoordinato la giornata. Sento montare una sorta di dolore, una specie di grido silenzioso qui dentro. E fuori non faccio che starmene seduto qui. Uscire? No, sono davvero stanco e non ne ho nemmeno voglia... Mi ha preso un'indolenza che mi spaventa tantissimo: io non sono così! Io sono il primo a gettarmi a capofitto verso nuovi lidi, nuove strade, nuove nottate, nuovi volti sorridenti... Eppure sono così da un po' di tempo. Cosa mi succede? Cosa mi congela? Perché sento una sottile inquietudine che tanto assomiglia ad una grande paura di non so cosa? Ci sono dei momenti in cui vorrei far uscire tutto come quando da piccolo esplodevo in pianto... Ma per che cosa? Non lo so. C'è qualcosa che non va.
Si , lo so che cos'è. sono vicino al mio compleanno, la data in cui faccio bilanci. E quest'anno il bilancio è negativo. Cosa ho fatto, cosa ho costruito, chi ho reso felice e chi ho deluso? La risposta è probabilmente zero assoluto in tutto. Si, diciamocelo non ho fatto... Niente!!! Non ho risolto nulla, gli sfarzi Ginevrini appartengono all'anno passato, sto inseguendo una laurea che, pur vicina, mi sembra più un incubo che un traguardo; esco con ragazze, ma non certo per amore... Troverò il coraggio di accettare il fatto che potrei essere ancora innamorato? ho un brivido e un senso di nausea al pensiero. La verità è che ho una gran paura di fare un'altra volta scelte sbagliate.
Ma sono ancora qui e alla fine è questo che conta. Forse una buona dormita farà il resto... Però anche se so che per contratto in questo periodo ho dei momenti in cui sono così giù, tutte le volte che li affronto mi sento uno schifo. Spero di uscirne quanto prima.

13 marzo 2007

Cipolla, tonno e peperoncino

Bea cucina. A mezzanotte di una giornata di nebbia e pioggia, una figura longilinea dai corti capelli castani mescola olio, pomodoro, uova, cipolla, tonno (tonno... anche il tonno ci metti, Bea?) e peperoncino assicurandomi che è una ricetta squisita imparata a Vulcano.
Che è un'isola, ci tiene a precisare, e non ha abitanti con orecchie a punta. Scoliamo una tonnellata di pasta e la guardo divorare quello che per me è una bomba nucleare calorica senza colpo ferire. Tanto so che non avrà effetto sui suoi costanti 50 chili: sta già bruciando le calorie in eccesso anche mentre mangia. Corre, guarda, gira, ride, gesticola... Una volta mi ha detto di essere alta 1 metro e 65; io ci credo ma mi domando come abbiano fatto a tenerla ferma per misurarla. Forse l'hanno temporaneamente graffettata su un muro, è l'unica spiegazione plausibile.
E come Bea si affanna ad aumentare l'entropia dell'universo quando è sveglia, tanto è quieta e mummificata quando dorme.
La coccolo. E' strano, di solito non si lascia coccolare tanto; sarà la pasta di Vulcano, tant'è che addirittura si lascia andare a incredibili frasi da dormiveglia. Convinta delle sue affermazioni è sicura che le piacerebbe un'autostrada che va da Milano alla Cambogia, ma forse anche al Perù... Non lo sa deve decidere. Pensieri profondi.
La coccolo per un millennio o due. Mi mancava. Non mi ricordavo la bellezza di coccolare con tranquillità e di fare l'amore appena svegli, non ricordavo la bellezza di restare abbracciati una notte intera, non ricordavo che "Bea" e "tranquillità" potessero esistere nella stessa frase.
Non ricordavo nemmeno di aver lasciato tonno e cipolla sul mobile della cucina, ma questa, ahimé, è un'altra storia, e verrà raccontata un'altra volta.
Dopo una nottata, una delle tante, una nottata che a pensarci ora sembra esistita solo nella mente di un folle, siamo tornati nel mondo reale. Niente più cipolle di mezzanotte, niente più silenzio e carezze... Stazione Centrale, ore 9 del mattino. Io sembro un alieno assonnato, Bea è già parte del turbine e ci sguazza con maestria: sembra brillare delle stesse lucine dei bar e dei negozi.
"Czesc, jak sie powodzi!"*
Bea parla polacco.
Si, vabbé ormai non mi stupisco più: domani potrei vederla al volante della Ferrari di Schumacher, o come prima donna su Marte senza che la cosa susciti in me sorpresa. Non è che Bea conosca il mondo, è il mondo a conoscere Bea. Ci sono istanti in cui penso che l'universo sia Beacentrico, e quando la sento salutare una sua conoscente in perfetto polacco ne ho la conferma. adesso sta chiacchierando amabilmente con questa biondona che mi lancia sguardi di sottecchi, poi la saluta, si congeda e inizia a raccontarmi tutto di lei, salvo poi interrompersi perché vuole un gelato.
E siamo di fronte a questa astronave verde e bianca che dicono chiamarsi treno ad abbracciarci. La minigonna di Bea crea scompiglio tra i controllori, mentre lei svolazza a prendere il suo posto. Si gira e per una attimo assisto alla trasformazione che mi spaventa tutte le volte: Bea, da bambina vivace diventa improvvisamente donna saggia, con una sorta di consapevolezza infinita negli occhi. E' come se all'improvviso ti trovassi di fronte a tutta l'esperienza del mondo, come se tu e tutti gli altri foste trasparenti e scontati. Chi sei, Bea? da dove vieni davvero? Cosa pensi tra i tuoi mille pensieri? Come fai a disarmarmi con uno sguardo? Perché so già cosa stai per dirmi?
"Ty, vai da lei e diglielo! Diglielo! La ami, ti si legge in faccia!"
Io non le rispondo, abbozzo un sorriso e la saluto. Lei torna ad essere una bambina vivace e mi stampa un bacio dal finestrino.
Io torno a casa, mi lascio cadere sul divano e piango, piango come una fontana. Non posso dirglielo Bea, perdonami.

Riassunto: Bea va veloce, io resto fermo.

*Ho dovuto mandare un messaggio ad un'amica polacca per chiederle come si dice "ciao come stai" e l'ho trascritto pari pari. Quello che si siano dette davvero non lo so.