14 agosto 2007

Svezia/2 Frankfurt-Copenhagen

Il viaggio verso Copenhagen sembra eterno, è infatti la tratta più lunga prevista, ma è fortunatamente spezzata dalla traversata di un braccio di mare via nave; imbarchiamo auto, armi e bagagli e veniamo stipati in un parcheggio galleggiante affollato come l’Ikea al sabato pomeriggio. Decisamente è meglio farsi un giro sul ponte superiore. Affrontato il solito percorso-supermarket per turisti con portafoglio gonfio, decidiamo di affrontare la traversata all’aperto, sferzati dal vento, e così mi ritrovo ad ammirare il panorama dalla balaustra del traghetto sorseggiando un orribile caffè stile Starbuck costato la bellezza di tre (TRE, 3!) euro; non manco di meravigliarmi per il numero di torri eoliche che si scorgono sulla costa, su ambo le coste, ora che sono visibili entrambe, e che già avevo scorto dall’autostrada. Una selva di eliche bianche. Che belle!
Ma è ora di sbarcare! E dopo due lentissime ore di autostrada… Copenhagen.
E Copenhagen sia!
Peccato che non mi sembri poi sto granché… Non so, sembra quasi ammuffita, stantia: ha un’immagine molto provinciale, ma è tutto fuorché viva. Sarà la pioggia, sarà quella baracca di ostello che abbiamo trovato, ma non mi convince; canonico giretto in centro con qualche scorcio per foto interessante e poi a nanna: domani voglio arrivare in Svezia!
La camerata dell’ostello è arredata in modo ingegneristico: letti a castello disposti ad elle in modo da incastrarsi per sfruttare al massimo lo spazio della stanza, letti di legno di quelli che scricchiolano al minimo movimento. Laura trova una nicchia perfetta per appoggiare la sua roba, io mi limito ad abbracciare il mio borsone: la porta d’ingresso è infatti senza serratura.
Tutto sommato si dorme bene e la stanza resta semivuota; ho anche modo di scambiare due chiacchiere con un compagno di camerata napoletano, che condivide la mia visione un tantino ipercritica dell’ostello, ma chi se ne importa! Siamo in partenza per la Svezia!
Ed è passando sull’imponente ponte dell’ Øresund che in svezia si arriva: un gigante di acciaio e cemento, quasi invisibile nella foschia, ma da bocca spalancata quando si passa in mezzo ai piloni; l’Alfa compie il suo centomillesimo chilometro proprio sul ponte, e la Svezia è ora alle porte.
Il panorama cambia in meglio e nonostante una bufera nei pressi di Jonköping rimaniamo incantati nell’osservare le casette rosse e i curiosi prati costellati da fiori giallissimi (denti di leone?) che creano distese a perdita d’occhio.
Ci divertiamo a pronunciare i nomi dei paesi con l’inflessione corretta e, mentre il tempo passa facciamo sosta mangereccia proprio a Jonköping sotto l’acqua battente. E’ una cittadina come tante, in mezzo ad una via di comunicazione principale, ma non manca di incuriosirmi: le case (pur nel consueto stile legno-color-pastello) sembrano non avere fondamenta, quasi fossero prefabbricate.
Laura si ferma all’ H&M (quasi d’obbligo, visto che è una catena svedese) e ne esce con una bella sciarpina dorata: acquisto lungimirante, visto quanto le servirà nei ventosi giorni successivi.
Ed è finalmente l’ora di arrivare a Stockholm! L’impatto non è dei migliori con questi tunnel e svincoli costellati da lavori in corso, persino il Tomtom va in crisi ed è con un certo astio che mollo l’auto nel primo posto che capita (non senza una inversione “sporca” molto in stile milanese) per cercareun benedetto ufficio informazioni che ci dia l’indirizzo di un buon ostello.
Col senno di poi mi viene da ridere: il “primo posto che capita” è il parcheggio del Palazzo Reale e non me ne accorgo fino ad un successivo sguardo attento alla mappa, mentre il “buon ostello” si rivela una favola!
Siamo all’Af Chapman, solitamente un battelo ormeggiato di fronte a Gamla Stan (città vecchia: il centro storico), sull’isola in cui c’è il museo d’arte moderna e altro.
Nel nostro caso il battello non c’era per via di lavori all’approdo, ma un edificio lo sostiutiva egregiamente, consentendomi perfino di parcheggiare proprio di fronte. E non stiamo parlando di un palazzo tra i vicoli, ma di una discreta costruzione immersa nel verde e fronte mare, circondata da prati curatissimi e una atmosfera da campus universitario.
E le stanze! La prima sera una tripla, con finestra direttamente affacciata sul mare e su Gamla Stan, le serate successive in un bel sottotetto architravato adibito a camerata. Curata, pulita (beh, forse un po’ polverosa) con tanto di tavoli e sedie… quasi non vedo l’ora di dormirci.
[2-continua]

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