9 aprile 2006

Improvvisa

Bea è improvvisa. Non c'è un preavviso, un preparativo... Lei appare a distanza di telefono, reduce da chissà quali disavventure, pronta a fermarsi un attimo prima di ridecollare verso la sua vita tempestosa.
"Ty, sono qui in stazione, sei a casa?"
Si, Bea, lo sai che sono a casa, e sai anche che c'è un cantuccio per te... Non ti lascio lì al freddo a cercare un albergo di notte.
"Sono stanca" mi dici assonnata sbirciando la foto di mia nipote "proprio stanca".
Ti porto su quasi a braccia e in men che non si dica eccoti lì: nel divano letto allestito in quattro e quattr'otto, Bea si mummifica nelle coperte e ronfa quasi all'istante. Ormai non le chiedo più che cosa, dove e perché. Lo so che fa un mestiere da orari impossibili e so come è fatta. Riposati Bea, domani ne parliamo davanti alla tazzona di the.
Mi allontano, mi lavo e torno in camera. Bea è nuda nel mio letto, ben sveglia e mi guarda.
"Ho freddo, Ty".
Una frase che farebbe ridere persino letta in un fumetto. Eppure ha davvero freddo.
Ci scaldiamo. Con passione, forza, trasporto, senza sapere il come e il perché... Siamo lì e va bene così...
Bea si addormenta accoccolata sul mio petto... Ogni tanto si sveglia, giocherella col mio orecchio, poi torna a respirare lentamente.
Io ho sonno ma non dormo.
Bea è di passaggio. E' sempre stata di passaggio, di corsa; Bea è futurista, non semplicemente dinamica, ma dinamismo fatto donna.
Ma io sono qui, e ho pensieri per un'altra persona... Una persona con cui vorrei essere ora, con cui non sono più, ma che frequento ugualmente. Arrivo persino a sentirmi in colpa per quello che è successo, anche se la mia parte razionale mi ripete che sono single e che quello che è appena successo è del tutto normale.
Bea si sveglia con un occhio alla volta e se ne va. La trovo in cucina che mangia una mela. Non la sbuccia, non lascia il torsolo: un'abitudine in comune con me, quella di non lasciare avanzi delle mele.
Bea mi sorride: "Avevo fame" annuncia a bocca piena, in un misto di ingenuità bambinesca ricciolosa e di una sensualità quasi da pantera, vanificata da orrendi calzini a quadretti.
Bea ammicca, mi guarda e mi chiede, complice: "dai, dimmi come si chiama".
"Come si chiama chi?"
"Come si chiama lei"
"Non c'è nessuna lei"
Certo non è mica difficile da capire... ma la testa di Bea sta già turbinando verso nuovi orizzonti. Cerca un biscotto, me ne lascia metà e conclude il colloquio con convinzione: "Sono stanca, ma proprio tanto!"
Riposati Bea, e lascia qui il solito imbecille a rimuginare sulla lei che davvero desidera...

1 aprile 2006

Lei

Nonostante la data possa far pensare il contrario, non farò pesci d'aprile su questo blog. Mi preme infatti scrivere d'altro, sfogare qualche dubbio e liberare qualche tarlo... Sono stato da lei e ho visto una persona addolorata e arrabbiata, furiosa verso tutto, rabbiosa contro la vita, persino pronta a chiedersi che senso avesse vivere. Forse non aveva tutti i torti nel pensare che la sua vita sia stata avara di sodisfazioni, ma non è un po' così per tutti? Spesso la felicità è solo una pausa tra due momenti di tristezza... Eppure perché io non la vedo così? Davvero lei ha questi pensieri autodistruttivi da così tanto tempo? Per quanto sia cinicamente logico quanto mi dice, sento che è vero solo in maniera fredda, deduttiva, ma lo sento falsissimo nel cuore. E' solo una questione di punti di vista, direbbe lei, ma è soltanto un punto di vista il fatto che io le voglia bene? Quale leva smuovere nei suoi sentimenti per farle apprezzare una gioia, una qualsiasi? Anche se spero sia solo uno scombussolamento dovuto alla primavera prima in ritardo poi in piena dirompente, mi chiedo se davvero io non possa fare di più per renderla felice o se debba lasciare che sia lei a trovare la sua felicità...