29 ottobre 2002

Castelli della Baviera

Sono le 19:45, ma questo viaggio è iniziato prima, mooolti chilometri fa, quando ancora il cielo di Milano gettava qualche goccia di pioggia qua e là sul tetto della Stazione Centrale. Era la sera del 25, anche se ormai sembra siano passati giorni e giorni, viste le scarpinate e i luoghi visitati. Ma andiamo con ordine, il viaggio merita una descrizione. Il fatto che il treno fosse un po’ in ritardo e che né Laura né io sapessimo come timbrare quegli strani biglietti per Monaco non sono cose degne di nota.
Lo è molto di più il “pennellone” trovato nello scompartimento: uno strano individuo molto acculturato che però aveva la strana tendenza a parlare da solo e ad intervenire repentinamente nei discorsi altrui. Vista la sua esperienza e le sue conoscenze, però, lo si ascoltava anche volentieri… I nostri compagni di viaggio erano tutti esperti gemmologi che si recavano a Monaco per una importante fiera di mineralogia. Il nostro amico pennellone, tra l’altro laureato in geologia non si fa scappare l’opportunità di scambiare impressioni con loro. All’inizio il discorso è anche interessante, poi però si fa troppo settoriale. Lascio Laura alla lettura del suo libro e scivolo lentamente nel dormiveglia, cercando una posizione comoda per le gambe. Nonostante non fosse facile, riusciamo tutti ad incastrarci comodamente e cominciamo a sonnecchiare.
Se non fosse che…
Il pennellone fa una di quelle cose che me lo farà odiare per sempre: in piena notte, con la scusa di “far stare tutti più comodi” allunga la sua poltrona e quella antistante, costringendomi di fatto a spostare le gambe. Mentre mi giro e rigiro, butto un occhio su di lui, beato come Madre Teresa e allungato su due posti. Pennellone egoista.Sono le 7 quando arriviamo a Monaco. La stazione è tutta colorata e, a parte noi, non c’è quasi anima viva in giro. Grazie alle guide Lauresche troviamo subito un ostello e lasciamo i bagagli. E’ ora di visitare il centro, qui vicino, e di cercare l’ufficio del turismo. La città è stranamente vuota: né pedoni né auto incrociano le strade, il che ci sembra strano, vista l’ora. Eppure è così: nel deserto quasi totale giriamo tutto il centro, da Karlsplatz attraverso l’arco della vecchia cinta muraria, fin nelle vie che portano a Marienplatz, non senza girare intorno alla cattedrale di Nostra Signora (Frauenkirche) con le sue due torri campanarie che svettano sul centro.
E poi la piazza, con i due Rathaus, il vecchio e il nuovo, le vie che portano alla Residenz, luogo di soggiorno dei sovrani, arricchito dall’Hofgarten; la strada di ritorno, la Teatinerkirche e poi di nuovo Marienplatz, in tempo per vedere il carillon suonare sulla torre del nuovo rathaus… Ma è già ora di andare! Presa la carta-biglietto per due (è curioso come tutte le promozioni sui biglietti siano ticket per cinque persone!), via tra metropolitane e tram per visitare il fiabesco Nymphemburg e l’altrettanto sfarzoso Schlosseisheim. I parchi delle due residenze sono da favola, e non si può davvero non visitarli… Ma la fatica è tanta, e la sera la si sente tutta…
Siamo infatti stremati quando, alle sette di sera ( ! ) ci corichiamo. Dimentichiamo però che la stanza è da tre; il nostro compagno non tarda ad arrivare e, anche se a noi sembra notte fonda, prende possesso del suo letto alle nove e mezza.
Il ragazzo in questione è tedesco, ben in carne, parla poco, russa un po’ (gemendo pure) e viaggia con tonnellate di cd… Rimane qui accanto come presenza discreta; non gli interessa chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando… E’ fatto così.
La mattina del 27 partiamo per Dachau.
Non ho molto da dire in proposito. Spero che Laura non si sia offesa per il mio mutismo e per la mia assoluta mancanza di partecipazione durante la visita. Quel luogo è intriso di disperazione. Lì c'è stato il Male. E’ quasi tangibile. Il forno crematorio è ancora in piedi; non ho voluto vederlo. Laura dice giustamente che non si può cancellare la storia… E’ vero, ma quel Male è ancora lì persistente. Speriamo serva davvero da monito e non da cerino per infiammare gli animi degli esaltati.
28/10
Sono i castelli a risvegliare in noi il vero significato della vacanza. Laura si da da fare per tre ai vari uffici informazioni, giusto per avere un’idea delle varie alternative ai biglietti ordinari delle ferrovie, piuttosto cari. Naturalmente (c’era da chiederselo?) il biglietto più conveniente è il solito ticket per un massimo di cinque persone. Tra impiegati scortesi, ignoranza diffusa agli sportelli delle ferrovie e guide turistiche imprecise, riusciamo a fare il sospirato biglietto. Considerato che il treno per Fuessen parte in tarda mattinata, abbiamo ancora il tempo per un altro giretto in centro… Le cartoline le abbiamo già acquistate ieri in stazione, insieme alla tazza decorata promessa ad un nostro amico, perciò questa mattina si fa shopping. Ammirevole il completino berretto-guanti scovato da Laura; persino utile, visto il vento che soffia incessantemente e che rende assolutamente inadatto il cappellino non saldamente fissato alla testa della mia compagna di viaggio… Rincorrerlo quando vola via è sicuramente simpatico, ma altrettanto scomodo. Meglio il berretto a strisce rosse, quindi. Tra l’altro risaltano le favolose treccine alla Pippi Calzelunghe che Laura si è fatta per l’occasione.
L’arrivo ai castelli è laborioso: dopo il treno si prende un pullman che ti porta… dietro l’angolo, in un parcheggio circondato da hotel, ristoranti e negozi, il vero luogo di partenza della visita. Fatti i biglietti per i castelli, bisogna prendere un altro autobus (da buoni italiani debosciati, di salire a piedi non se ne parla) e si comincia il giro…
Già già, però…
Un grosso dubbio si fa strada nella mia mente (malata; ndr): sui biglietti per i due castelli è indicata l’ora della visita, uno alle 14:00, l’altro alle 16:00… Ovviamente sono le due e noi stiamo andando al castello sbagliato… La simpatica (e molto carina) signorina alla biglietteria, ha confuso gli orari. Scopriamo che la visita avviene per gruppi e che ogni gruppo entra all’ora indicata sul biglietto… Si, insomma, dobbiamo rimediare agli errori convincendo gli addetti (gentilissimi!) a “scambiare” i nostri orari.
Neuschwanstein è fiabesco, almeno all’esterno. Le stanze sono sì sontuose (e pacchiane), ma sembrano ridicolmente piccole per una dimora regale… Persino il salone delle feste è piuttosto ridotto. Restano degne di nota le decorazioni interne, gli affreschi a tema wagneriano, in cui il protagonista (specie nella serie dedicata a Tristano e Isotta) ha il volto di Ludwig II, il megalomane che ha voluto realizzare tutto ciò. Visitiamo le varie sale (solo alcune sono aperte al pubblico), armati di guida-citofono in italiano: ammiriamo la stanza del trono, realizzata con un’architettura degna di una chiesa, in cui avrebbe dovuto essere posto un trono in oro e avorio mai completato, passiamo per ambienti curiosi, un po’ angusti, senz’altro originali… Un corridoio esce da una stanza e immette in una… grotta !?! Proprio una grotta, con stalattiti e stalagmiti, ricostruita qui in mezzo a uno stridore di stili che neanche un concerto di musica dodecafonica riuscirebbe a riprodurre… L’uscita della grotta è una curiosa porta, camuffata in tutto e per tutto con finta roccia, che conduce ad un normalissimo (si fa per dire) corridoio. L’altro lato della porta, quello che da sul corridoio, ha l’aspetto di un comune battente in legno… Nulla che lasci presagire quello che ci si è lasciati alle spalle. Re Ludwig era decisamente eccentrico… La visita si chiude poi nelle cucine, arredate di tutto punto e provviste di attrezzature persino all’avanguardia per l’epoca.
Usciti dal castello troviamo una coppia di simpatici italiani che ci accompagnano fino al ponte di Marienbrucke, luogo da cui si ha una delle vedute più belle in assoluto del castello di Neuschwastein. Non a caso il ponte è stato scoperto e riedificato dallo stesso re Ludwig, esteta fino all’ultimo. Alle spalle della reggia da favola, più in basso e più dimesso c’è il vero castello: Hohenschwangau, residenza dei sovrani e dimora d’infanzia di Ludwig, arredato con più gusto (ma non tanto di più…) e senso della realtà: un’abitazione vera e propria, non un castello giocattolo come Neuschwanstein. Tra le varie sale vi è una curiosa stanza dove è conservato del pane e del latte in bella mostra. E’ il simbolo del principio dell’ospitalità e del proverbio secondo cui finché ci sarà pane nel piatto e latte nella ciotola, non mancherà prosperità alla famiglia. O almeno credo… Il mio inglese è davvero indegno.
Cosa si può dire ancora di questa vacanza? Sono stati tre giorni intensi e ho ancora ricordi a sprazzi: le cartine artigianali di Laura per muoversi a Dachau, i commenti sulle bellezze locali, i rari intermezzi mangerecci, le incertezze sui mezzi da prendere in una città che ha ben poco dell’efficienza teutonica, ma che anzi si distingue per il colore e il folklore, quasi fosse un paesino del sud Italia… Lascio alle foto le descrizioni migliori e mi limito a ricordare un po’ qui e un po’ là, ripromettendomi, magari, di consigliare a chi vuol fare un viaggio del genere a prendersela un po’ più comoda.