Ho sentito un'amica poco fa. Beh, in passato per me è stata più che un'amica, ma questo ora non c'entra.
Poche parole... A volte quando ci si conosce da tanto non servono frasi molto lunghe...
Mi ha colpito più che altro una sua risposta, data in un momento in cui lei non è proprio in forma, in cui ci sono problemi che devono essere risolti. Cose della vita, insomma.
un "non so se ce la faccio a riprendermi"mi ha lasciato parecchio pensieroso. Chiedendomi più che altro cosa comportasse una risposta del genere... Come possa sentirsi una persona consapevole del fatto che, forse no, non si riprenderà... E mi è rimasto un vuoto abbastanza amaro dentro.
Non ho proseguito più di tanto la telefonata, lasciando un vago riferimento al fatto che in caso di bisogno siamo qui e là e cose così, più che altro incapace di lasciare un segnale chiaro e sicuro che di aiuto io ne possa dare.
Chiariamoci, io farei tutto per aiutare questa persona, ma in certe circostanze semplicemente mi è ignoto quale aiuto potrei dare, e quasi sempre subentra il timore di essere invadente, di troppo, causando più problemi che altro.
Rimane così un certo malessere nel dubbio che forse avrei potuto parlarle di più o che forse le ho già parlato troppo... chiedendomi se è addirttura il caso di scrivere un diario come questo.
Di certo so che vedere persone care soffrire per qualsiasi motivo è una cosa sfibrante al limite dell'insopportabile.
28 agosto 2007
27 agosto 2007
Layla
Il giorno che conobbi Layla la feci ridere. Non so esattamente quale facezia mi inventai per l'occasione, ma ricordo che lei spalanco gli occhioni azzurri e rise in maniera quasi sguaiata. Gli amici ci fissavano con un misto di stupore e spavento; un paio erano esterrefatti, una scappò al bagno, l'altra si fece il segno della croce, uno addirittura (mi hanno detto) si iscrisse poi a ingegneria. Il ragazzo accanto a me mi spiegò "Hai fatto ridere la Garbo".
In realtà Layla non è mai stata così... Semplicemente era impossibile capire cosa la colpisse emotivamente, almeno all'inizio. L'immagine che dava era quella di persona algida, impassibile. Non altera, non con la puzza sotto il naso, ma mai divertita o addolorata oltre il limite della cordialità.
La prima volta che andai a casa sua mi immaginavo di trovarla in una di quelle tenute inglesi, tra levrieri, green, e servizi da te, magari con abito di lino e gran cappello bianco; ecco era perfetta per il ruolo chic/decadente/aristocratico... Certo, non credevo esistessero molte tenute principesche in zona Città Studi, quindi non mi stupii più di tanto di essere invitato in un comune appartamento arredato in un modo normalissimo.
Ecco Layla in quel momento mi parve un arredamento anni '70. Non parlo della casa, parlo di LEI. Quei locali che si vedono nei vecchi telefilm del periodo, in cui sembrava che il futuro riservasse tinte accese e pastello le une accanto alle altre e mobili dalle linee minimaliste e tondeggianti. Un misto di Ufo Shado e Arancia Meccanica: un sacco di colori e impressioni compresso in una rigida geometria, ma non forzata o repressa, solo tranquillamente naturale.
Quanto al ridere, ah quello è tutta un'altra storia.
Conoscendola meglio mi accorgevo che aveva un gusto talmente poliedrico da essere "strano": poteva restare impassibile a tempi comici perfetti o scoppiare a ridere alternativamente di fronte alla battuta più pecoreccia della terra o al cambio di espressione di un attore shakespeariano durante una fase concitata di una commedia per palati fini; poteva commuoversi allo stesso modo per un dramma a lei vicino o per la morte di un personaggio nel telefilm preferito e restare totalmente impassibile in situazioni che farebbero perdere la testa a molte persone.
Nel confuso delirio febbricitante dei giorni scorsi, Layla mi ha tenuto un po' di compagnia; non sarò stato un granché come ospite con 39 gradi celsius sulla fronte, ma il bello delle persone come lei è che nel bene o nel male sanno mantenere un'aggraziata e cordiale espressione di condiscendenza.
E' sabato e, mentre mi riprendo, lei decide di guardare un po' la tv con me e, dopo un rapido e preciso giro di ispezione dei canali si ferma sul profilo noto e corpulento di Bud Spencer.
"Due superpiedi quasi piatti", da piccolo non me lo perdevo mai, adoravo quei due scazzottatori folli... Ma figurati se Layla...
"Ohh Bud Spencer e Terence Hill!"
No dai... non dirmi che...
Lo vediamo tutto. Alla scena in cui il buon Bud sta per addentare il panino, lo chiamano alla radio e lui brontola "C'ho l'hamburger che fa contatto", Layla esplode.
No, non ride, esplode!
Sghignazza incontrollata, fino alle lacrime e praticamente fino alla fine del film; nei pochi momenti in cui si riprende un'altra battuta la squassa nel profondo:
"Sposta la testa che te la cionco"
*Sospiro* ridarella incontenibile
"Sono rose finte, durano financo quattro anni"
*risata interrotta* "financo quattro aaaahhhahhh!" *sghignazzata da cattivo dei cartoni animati*
"Mi appecorono alla sua bellezza
*urlo liberatorio seguito da risata sommessa*
Io ho paura. La Garbo ride!!!
Ma anche dopo aver usato tutti i suoi bonus risata degli utlimi quattro anni, Layla non è il tipo da accusare conseguenze. Dopo soli pochi minuti anche il segno delle lacrime è scomparso, solo una certa luminosità del viso suggerisce lampi di gioia dopo una tempesta di emozioni.
Bene cara Greta, ho un po' di dvd da recuperare per i prossimi weekend...
In realtà Layla non è mai stata così... Semplicemente era impossibile capire cosa la colpisse emotivamente, almeno all'inizio. L'immagine che dava era quella di persona algida, impassibile. Non altera, non con la puzza sotto il naso, ma mai divertita o addolorata oltre il limite della cordialità.
La prima volta che andai a casa sua mi immaginavo di trovarla in una di quelle tenute inglesi, tra levrieri, green, e servizi da te, magari con abito di lino e gran cappello bianco; ecco era perfetta per il ruolo chic/decadente/aristocratico... Certo, non credevo esistessero molte tenute principesche in zona Città Studi, quindi non mi stupii più di tanto di essere invitato in un comune appartamento arredato in un modo normalissimo.
Ecco Layla in quel momento mi parve un arredamento anni '70. Non parlo della casa, parlo di LEI. Quei locali che si vedono nei vecchi telefilm del periodo, in cui sembrava che il futuro riservasse tinte accese e pastello le une accanto alle altre e mobili dalle linee minimaliste e tondeggianti. Un misto di Ufo Shado e Arancia Meccanica: un sacco di colori e impressioni compresso in una rigida geometria, ma non forzata o repressa, solo tranquillamente naturale.
Quanto al ridere, ah quello è tutta un'altra storia.
Conoscendola meglio mi accorgevo che aveva un gusto talmente poliedrico da essere "strano": poteva restare impassibile a tempi comici perfetti o scoppiare a ridere alternativamente di fronte alla battuta più pecoreccia della terra o al cambio di espressione di un attore shakespeariano durante una fase concitata di una commedia per palati fini; poteva commuoversi allo stesso modo per un dramma a lei vicino o per la morte di un personaggio nel telefilm preferito e restare totalmente impassibile in situazioni che farebbero perdere la testa a molte persone.
Nel confuso delirio febbricitante dei giorni scorsi, Layla mi ha tenuto un po' di compagnia; non sarò stato un granché come ospite con 39 gradi celsius sulla fronte, ma il bello delle persone come lei è che nel bene o nel male sanno mantenere un'aggraziata e cordiale espressione di condiscendenza.
E' sabato e, mentre mi riprendo, lei decide di guardare un po' la tv con me e, dopo un rapido e preciso giro di ispezione dei canali si ferma sul profilo noto e corpulento di Bud Spencer.
"Due superpiedi quasi piatti", da piccolo non me lo perdevo mai, adoravo quei due scazzottatori folli... Ma figurati se Layla...
"Ohh Bud Spencer e Terence Hill!"
No dai... non dirmi che...
Lo vediamo tutto. Alla scena in cui il buon Bud sta per addentare il panino, lo chiamano alla radio e lui brontola "C'ho l'hamburger che fa contatto", Layla esplode.
No, non ride, esplode!
Sghignazza incontrollata, fino alle lacrime e praticamente fino alla fine del film; nei pochi momenti in cui si riprende un'altra battuta la squassa nel profondo:
"Sposta la testa che te la cionco"
*Sospiro* ridarella incontenibile
"Sono rose finte, durano financo quattro anni"
*risata interrotta* "financo quattro aaaahhhahhh!" *sghignazzata da cattivo dei cartoni animati*
"Mi appecorono alla sua bellezza
*urlo liberatorio seguito da risata sommessa*
Io ho paura. La Garbo ride!!!
Ma anche dopo aver usato tutti i suoi bonus risata degli utlimi quattro anni, Layla non è il tipo da accusare conseguenze. Dopo soli pochi minuti anche il segno delle lacrime è scomparso, solo una certa luminosità del viso suggerisce lampi di gioia dopo una tempesta di emozioni.
Bene cara Greta, ho un po' di dvd da recuperare per i prossimi weekend...
16 agosto 2007
Svezia/4 - Ritorno
Sosta di rito a Jonköping per le foto ai fiori gialli che riempiono campi sterminati e poi via fino a Lund, città tra le più antiche della Svezia, ma stavolta caratterizzata più che altro dalla pioggia battente, passando poi per Granna Visingo, presso un castello che non vedremo mai, a causa di difficoltà nell’interpretare le indicazioni turistiche!
E torniamo a Copenhagen, attraversando e fotografando il ponte sull’ Ørendsund e tornando alla città che ancora una volta è coperta da nubi piovose… Non troviamo un ostello nemmeno a piangere in danese, sarà perché è venerdi, e siamo costretti a prendere una stanza in periferia. L’ufficio del turismo ci da l’indirizzo sbagliato e ci perdiamo; telefoniamo alla signora che gestisce il b&b e ci facciamo fare lo spelling dell’indirizzo corretto: un coacervo di J,Y,V,H e simili, per un totale di una trentina di lettere.
E’ incredibile, ma arriviamo senza intoppi (grazie al navigatore, sia lodato il suo inventore) e la nostra ospite si rivela essere giovane, sulla trentina. Non uno splendore ma… va bene, va bene, bando ai pensieri sconci!
La stanza è carina, grande e completa di tutto, un po’ uno spreco per una sola notte, ma vabbé…
Approfittiamo delle ultime luci del giorno per andare alla Sirenetta nella zona del porto… Incontriamo anche un gruppo di genovesi pronti ad imbarcarsi in una crociera verso S.Pietroburgo e insieme ammiriamo la statua, persa in mezzo a un molo portuale commerciale.
Bella, niente da dire, ma assolutamente non valorizzata… Un degno simbolo di Copenhagen.
Alla fine la mazzata serale: non abbiamo nessun puntelo in Germania, quindi l’ultima tappa è in forse, non sapendo dove andare a dormire.
Decidiamo di fare la tirata.
Copenhagen-Milano con soste dove capita, con escursioni a Frankfurt, Baden Baden, Strasbourg, al lago di Altdorf e poi via via fino a casa, dormendo solo un po’ di straforo in aree di sosta tedesche gestite da autoctoni a volte maleducati, a volte gentilissimi.
E l’arrivo, ormai stravolti.
A volte non conta la destinazione, ma il viaggio.
E torniamo a Copenhagen, attraversando e fotografando il ponte sull’ Ørendsund e tornando alla città che ancora una volta è coperta da nubi piovose… Non troviamo un ostello nemmeno a piangere in danese, sarà perché è venerdi, e siamo costretti a prendere una stanza in periferia. L’ufficio del turismo ci da l’indirizzo sbagliato e ci perdiamo; telefoniamo alla signora che gestisce il b&b e ci facciamo fare lo spelling dell’indirizzo corretto: un coacervo di J,Y,V,H e simili, per un totale di una trentina di lettere.
E’ incredibile, ma arriviamo senza intoppi (grazie al navigatore, sia lodato il suo inventore) e la nostra ospite si rivela essere giovane, sulla trentina. Non uno splendore ma… va bene, va bene, bando ai pensieri sconci!
La stanza è carina, grande e completa di tutto, un po’ uno spreco per una sola notte, ma vabbé…
Approfittiamo delle ultime luci del giorno per andare alla Sirenetta nella zona del porto… Incontriamo anche un gruppo di genovesi pronti ad imbarcarsi in una crociera verso S.Pietroburgo e insieme ammiriamo la statua, persa in mezzo a un molo portuale commerciale.
Bella, niente da dire, ma assolutamente non valorizzata… Un degno simbolo di Copenhagen.
Alla fine la mazzata serale: non abbiamo nessun puntelo in Germania, quindi l’ultima tappa è in forse, non sapendo dove andare a dormire.
Decidiamo di fare la tirata.
Copenhagen-Milano con soste dove capita, con escursioni a Frankfurt, Baden Baden, Strasbourg, al lago di Altdorf e poi via via fino a casa, dormendo solo un po’ di straforo in aree di sosta tedesche gestite da autoctoni a volte maleducati, a volte gentilissimi.
E l’arrivo, ormai stravolti.
A volte non conta la destinazione, ma il viaggio.
15 agosto 2007
Svezia/3 Stockholm e dintorni
La prima giornata nella capitale è da antologia, con visita alla città vecchia e tante tante foto. Il palazzo reale è ampio e sobrio, ma non imponente. Idem la cattedrale, idem il palazzo della Borsa, in cui vengono assegnati i premi Nobel… Non vedo mai ricerca di maestosità, solo piazze raccolte, case pulite, vie ordinate ma ugualmente colorate e vivaci. Pulito, ma non asettico alla viennese, vivo, ma no chiassoso alla teutonica, nordico, ma non provinciale alla Copenhagen… mi piace!!!
Ci perdiamo in Gamla Stan per ore… Ci si sta bene, è riposante. E illusi da questo benessere il giorno successivo ci tuffiamo nella parte più moderna: più che una passeggiata, un massacro! Giriamo in lungo e in largo e vediamo decine di scorci fantastici, ma nessuno rivaleggia con Gamla Stan. Optiamo per il grande parco a est, ma rinunciamo alla visita al Vasa, un po’ troppo gettonata e costosa, idem (e a mio parere è stato un errore) ci perdiamo lo Skansen, ma siamo stanchi: è tutto il girono che rimbalziamo da Kungsholmen (il vecchio municipio) a Djurgården passando per la city… e l’idea è che questi giganteschi giardini siano un po’ troppo dispersivi. Ci riposiamo un po’ all’ombra degli alberi, contemplando il volgere al termine di una giornata per noi insolitamente lunga, visti gli orari di alba e tramonto dell’estate svedese.
E arriva il terzo giorno.
Prima però cambiamo camera e abbiamo modo di conoscere i simpatici compagni di stanza della camerata: è una compagnia eterogenea e alla mano, con un signore anziano e solitario ma dalla battuta pronta, madre e figlio colombiani impegnati in un tour da suicidio che in 15 giorni li porterà a visitare parecchie città europee, comprese Parigi e Roma, due simpaticissimi sloveni che tengono banco prendendo in giro gli altri avventori, una deliziosa e giovane ballerina biondissima accompagnata dalla madre, un ragazzo israelianoche ci racconta di come avviene la… circoncisione (brrr…) e altri. Ciliegina sulla torta, un giovane ricercatore torinese trapiantato a Parigi e abile nella giocoleria ci incanta quasi per tutta la sera lanciando le sue palline in aria… e così giocando e scherzando passa la serata.
E arriva, dicevo, il terzo giorno.
Giorno di escursioni: prendiamo l’auto e giriamo i paesi dei dintorni.
Sono carinissimi! Mariefred, piccolo e sperduto, è forse il più bello con le sue casette rosse in legno e il bel castello sul lago. Molto particolare è anche la mini-ferrovia che sembra un giocattolo, ma viene realmente usata per tour dei dintorni, mossa da una pittoresca locomotiva a vapore non più grossa di un’utlitaria.
Dopo le foto di rito è la volta di Strängnäs, paese che accoglie il visitatore presentando un magnifico porticciolo dominato da un mulino a vento; anche qui foto a profusione e pranzettino veloce ai baracchini del porto, gestiti da ragazze simpaticissime.
Visitamo poi la chiesa e abbiamo la confermadi ciò che avevamo già appurato: in tutte le chiese della zona, siano esse di provincia o cattedrali, esistono spazi appositi per far giocare i bambini; nicchie in cui solitamente ti aspetteresti la tal statua o cappelletta ospitano invece tavolini, panche, peluches e giocattoli, il tutto opportunamente posto sotto luminose vetrate. Davvero curioso!
Dopo i paesi dei dintorni è la volta di Uppsala, città più famosa per le università che non per le meraviglie artistiche. Fa eccezione la cattedrale, vertiginosamente gotica con le sue guglie gemelle e la struttura ardita, ma è davvero l’unica cosa degna di nota nella cittadina, non fosse altro per la tomba di Linneo, incastonata nel pavimento e circondata da fiori e piante. Appropriata! Sempre nella catedrale riposa il re Gustav Vasa, in una grande cappella adorna delle scene della sua vita e accompagnato dalle sue tre mogli. Poco discosta dalla cappella, una statua di donna in abito monacale sembra voltarsi a guardare la tomba del re. Il dettaglio e la precisione della statua la fanno sembrare vera. Un personaggio storico? Una ntico amore? Non ho modo di accertarmene.
Più curiosa Gamla Uppsala, la città vecchia distante un paio di chilometri… più che città vecchia sembra il paese delle bambole! Casette pastello piccine divise da viuzze strette e orticelli e quasi nessuno in giro: sembra più un campeggio con bungalow che una cittadina. Ci aggiriamo un po’ tra queste case di bambole per poi decidere di tornare al nostro ostello a Stoccolma.
Ed è giunto purtroppo il giorno della partenza.
Lasciamo Stoccolma con tristezza, considerato quanto sia bella, e partiamo alla volta della Danimarca ricordandoci quanto fosse deludente.
[3- continua]
Ci perdiamo in Gamla Stan per ore… Ci si sta bene, è riposante. E illusi da questo benessere il giorno successivo ci tuffiamo nella parte più moderna: più che una passeggiata, un massacro! Giriamo in lungo e in largo e vediamo decine di scorci fantastici, ma nessuno rivaleggia con Gamla Stan. Optiamo per il grande parco a est, ma rinunciamo alla visita al Vasa, un po’ troppo gettonata e costosa, idem (e a mio parere è stato un errore) ci perdiamo lo Skansen, ma siamo stanchi: è tutto il girono che rimbalziamo da Kungsholmen (il vecchio municipio) a Djurgården passando per la city… e l’idea è che questi giganteschi giardini siano un po’ troppo dispersivi. Ci riposiamo un po’ all’ombra degli alberi, contemplando il volgere al termine di una giornata per noi insolitamente lunga, visti gli orari di alba e tramonto dell’estate svedese.
E arriva il terzo giorno.
Prima però cambiamo camera e abbiamo modo di conoscere i simpatici compagni di stanza della camerata: è una compagnia eterogenea e alla mano, con un signore anziano e solitario ma dalla battuta pronta, madre e figlio colombiani impegnati in un tour da suicidio che in 15 giorni li porterà a visitare parecchie città europee, comprese Parigi e Roma, due simpaticissimi sloveni che tengono banco prendendo in giro gli altri avventori, una deliziosa e giovane ballerina biondissima accompagnata dalla madre, un ragazzo israelianoche ci racconta di come avviene la… circoncisione (brrr…) e altri. Ciliegina sulla torta, un giovane ricercatore torinese trapiantato a Parigi e abile nella giocoleria ci incanta quasi per tutta la sera lanciando le sue palline in aria… e così giocando e scherzando passa la serata.
E arriva, dicevo, il terzo giorno.
Giorno di escursioni: prendiamo l’auto e giriamo i paesi dei dintorni.
Sono carinissimi! Mariefred, piccolo e sperduto, è forse il più bello con le sue casette rosse in legno e il bel castello sul lago. Molto particolare è anche la mini-ferrovia che sembra un giocattolo, ma viene realmente usata per tour dei dintorni, mossa da una pittoresca locomotiva a vapore non più grossa di un’utlitaria.
Dopo le foto di rito è la volta di Strängnäs, paese che accoglie il visitatore presentando un magnifico porticciolo dominato da un mulino a vento; anche qui foto a profusione e pranzettino veloce ai baracchini del porto, gestiti da ragazze simpaticissime.
Visitamo poi la chiesa e abbiamo la confermadi ciò che avevamo già appurato: in tutte le chiese della zona, siano esse di provincia o cattedrali, esistono spazi appositi per far giocare i bambini; nicchie in cui solitamente ti aspetteresti la tal statua o cappelletta ospitano invece tavolini, panche, peluches e giocattoli, il tutto opportunamente posto sotto luminose vetrate. Davvero curioso!
Dopo i paesi dei dintorni è la volta di Uppsala, città più famosa per le università che non per le meraviglie artistiche. Fa eccezione la cattedrale, vertiginosamente gotica con le sue guglie gemelle e la struttura ardita, ma è davvero l’unica cosa degna di nota nella cittadina, non fosse altro per la tomba di Linneo, incastonata nel pavimento e circondata da fiori e piante. Appropriata! Sempre nella catedrale riposa il re Gustav Vasa, in una grande cappella adorna delle scene della sua vita e accompagnato dalle sue tre mogli. Poco discosta dalla cappella, una statua di donna in abito monacale sembra voltarsi a guardare la tomba del re. Il dettaglio e la precisione della statua la fanno sembrare vera. Un personaggio storico? Una ntico amore? Non ho modo di accertarmene.
Più curiosa Gamla Uppsala, la città vecchia distante un paio di chilometri… più che città vecchia sembra il paese delle bambole! Casette pastello piccine divise da viuzze strette e orticelli e quasi nessuno in giro: sembra più un campeggio con bungalow che una cittadina. Ci aggiriamo un po’ tra queste case di bambole per poi decidere di tornare al nostro ostello a Stoccolma.
Ed è giunto purtroppo il giorno della partenza.
Lasciamo Stoccolma con tristezza, considerato quanto sia bella, e partiamo alla volta della Danimarca ricordandoci quanto fosse deludente.
[3- continua]
14 agosto 2007
Svezia/2 Frankfurt-Copenhagen
Il viaggio verso Copenhagen sembra eterno, è infatti la tratta più lunga prevista, ma è fortunatamente spezzata dalla traversata di un braccio di mare via nave; imbarchiamo auto, armi e bagagli e veniamo stipati in un parcheggio galleggiante affollato come l’Ikea al sabato pomeriggio. Decisamente è meglio farsi un giro sul ponte superiore. Affrontato il solito percorso-supermarket per turisti con portafoglio gonfio, decidiamo di affrontare la traversata all’aperto, sferzati dal vento, e così mi ritrovo ad ammirare il panorama dalla balaustra del traghetto sorseggiando un orribile caffè stile Starbuck costato la bellezza di tre (TRE, 3!) euro; non manco di meravigliarmi per il numero di torri eoliche che si scorgono sulla costa, su ambo le coste, ora che sono visibili entrambe, e che già avevo scorto dall’autostrada. Una selva di eliche bianche. Che belle!
Ma è ora di sbarcare! E dopo due lentissime ore di autostrada… Copenhagen.
E Copenhagen sia!
Peccato che non mi sembri poi sto granché… Non so, sembra quasi ammuffita, stantia: ha un’immagine molto provinciale, ma è tutto fuorché viva. Sarà la pioggia, sarà quella baracca di ostello che abbiamo trovato, ma non mi convince; canonico giretto in centro con qualche scorcio per foto interessante e poi a nanna: domani voglio arrivare in Svezia!
La camerata dell’ostello è arredata in modo ingegneristico: letti a castello disposti ad elle in modo da incastrarsi per sfruttare al massimo lo spazio della stanza, letti di legno di quelli che scricchiolano al minimo movimento. Laura trova una nicchia perfetta per appoggiare la sua roba, io mi limito ad abbracciare il mio borsone: la porta d’ingresso è infatti senza serratura.
Tutto sommato si dorme bene e la stanza resta semivuota; ho anche modo di scambiare due chiacchiere con un compagno di camerata napoletano, che condivide la mia visione un tantino ipercritica dell’ostello, ma chi se ne importa! Siamo in partenza per la Svezia!
Ed è passando sull’imponente ponte dell’ Øresund che in svezia si arriva: un gigante di acciaio e cemento, quasi invisibile nella foschia, ma da bocca spalancata quando si passa in mezzo ai piloni; l’Alfa compie il suo centomillesimo chilometro proprio sul ponte, e la Svezia è ora alle porte.
Il panorama cambia in meglio e nonostante una bufera nei pressi di Jonköping rimaniamo incantati nell’osservare le casette rosse e i curiosi prati costellati da fiori giallissimi (denti di leone?) che creano distese a perdita d’occhio.
Ci divertiamo a pronunciare i nomi dei paesi con l’inflessione corretta e, mentre il tempo passa facciamo sosta mangereccia proprio a Jonköping sotto l’acqua battente. E’ una cittadina come tante, in mezzo ad una via di comunicazione principale, ma non manca di incuriosirmi: le case (pur nel consueto stile legno-color-pastello) sembrano non avere fondamenta, quasi fossero prefabbricate.
Laura si ferma all’ H&M (quasi d’obbligo, visto che è una catena svedese) e ne esce con una bella sciarpina dorata: acquisto lungimirante, visto quanto le servirà nei ventosi giorni successivi.
Ed è finalmente l’ora di arrivare a Stockholm! L’impatto non è dei migliori con questi tunnel e svincoli costellati da lavori in corso, persino il Tomtom va in crisi ed è con un certo astio che mollo l’auto nel primo posto che capita (non senza una inversione “sporca” molto in stile milanese) per cercareun benedetto ufficio informazioni che ci dia l’indirizzo di un buon ostello.
Col senno di poi mi viene da ridere: il “primo posto che capita” è il parcheggio del Palazzo Reale e non me ne accorgo fino ad un successivo sguardo attento alla mappa, mentre il “buon ostello” si rivela una favola!
Siamo all’Af Chapman, solitamente un battelo ormeggiato di fronte a Gamla Stan (città vecchia: il centro storico), sull’isola in cui c’è il museo d’arte moderna e altro.
Nel nostro caso il battello non c’era per via di lavori all’approdo, ma un edificio lo sostiutiva egregiamente, consentendomi perfino di parcheggiare proprio di fronte. E non stiamo parlando di un palazzo tra i vicoli, ma di una discreta costruzione immersa nel verde e fronte mare, circondata da prati curatissimi e una atmosfera da campus universitario.
E le stanze! La prima sera una tripla, con finestra direttamente affacciata sul mare e su Gamla Stan, le serate successive in un bel sottotetto architravato adibito a camerata. Curata, pulita (beh, forse un po’ polverosa) con tanto di tavoli e sedie… quasi non vedo l’ora di dormirci.
[2-continua]
Ma è ora di sbarcare! E dopo due lentissime ore di autostrada… Copenhagen.
E Copenhagen sia!
Peccato che non mi sembri poi sto granché… Non so, sembra quasi ammuffita, stantia: ha un’immagine molto provinciale, ma è tutto fuorché viva. Sarà la pioggia, sarà quella baracca di ostello che abbiamo trovato, ma non mi convince; canonico giretto in centro con qualche scorcio per foto interessante e poi a nanna: domani voglio arrivare in Svezia!
La camerata dell’ostello è arredata in modo ingegneristico: letti a castello disposti ad elle in modo da incastrarsi per sfruttare al massimo lo spazio della stanza, letti di legno di quelli che scricchiolano al minimo movimento. Laura trova una nicchia perfetta per appoggiare la sua roba, io mi limito ad abbracciare il mio borsone: la porta d’ingresso è infatti senza serratura.
Tutto sommato si dorme bene e la stanza resta semivuota; ho anche modo di scambiare due chiacchiere con un compagno di camerata napoletano, che condivide la mia visione un tantino ipercritica dell’ostello, ma chi se ne importa! Siamo in partenza per la Svezia!
Ed è passando sull’imponente ponte dell’ Øresund che in svezia si arriva: un gigante di acciaio e cemento, quasi invisibile nella foschia, ma da bocca spalancata quando si passa in mezzo ai piloni; l’Alfa compie il suo centomillesimo chilometro proprio sul ponte, e la Svezia è ora alle porte.
Il panorama cambia in meglio e nonostante una bufera nei pressi di Jonköping rimaniamo incantati nell’osservare le casette rosse e i curiosi prati costellati da fiori giallissimi (denti di leone?) che creano distese a perdita d’occhio.
Ci divertiamo a pronunciare i nomi dei paesi con l’inflessione corretta e, mentre il tempo passa facciamo sosta mangereccia proprio a Jonköping sotto l’acqua battente. E’ una cittadina come tante, in mezzo ad una via di comunicazione principale, ma non manca di incuriosirmi: le case (pur nel consueto stile legno-color-pastello) sembrano non avere fondamenta, quasi fossero prefabbricate.
Laura si ferma all’ H&M (quasi d’obbligo, visto che è una catena svedese) e ne esce con una bella sciarpina dorata: acquisto lungimirante, visto quanto le servirà nei ventosi giorni successivi.
Ed è finalmente l’ora di arrivare a Stockholm! L’impatto non è dei migliori con questi tunnel e svincoli costellati da lavori in corso, persino il Tomtom va in crisi ed è con un certo astio che mollo l’auto nel primo posto che capita (non senza una inversione “sporca” molto in stile milanese) per cercareun benedetto ufficio informazioni che ci dia l’indirizzo di un buon ostello.
Col senno di poi mi viene da ridere: il “primo posto che capita” è il parcheggio del Palazzo Reale e non me ne accorgo fino ad un successivo sguardo attento alla mappa, mentre il “buon ostello” si rivela una favola!
Siamo all’Af Chapman, solitamente un battelo ormeggiato di fronte a Gamla Stan (città vecchia: il centro storico), sull’isola in cui c’è il museo d’arte moderna e altro.
Nel nostro caso il battello non c’era per via di lavori all’approdo, ma un edificio lo sostiutiva egregiamente, consentendomi perfino di parcheggiare proprio di fronte. E non stiamo parlando di un palazzo tra i vicoli, ma di una discreta costruzione immersa nel verde e fronte mare, circondata da prati curatissimi e una atmosfera da campus universitario.
E le stanze! La prima sera una tripla, con finestra direttamente affacciata sul mare e su Gamla Stan, le serate successive in un bel sottotetto architravato adibito a camerata. Curata, pulita (beh, forse un po’ polverosa) con tanto di tavoli e sedie… quasi non vedo l’ora di dormirci.
[2-continua]
13 agosto 2007
Svezia/1 Milano-Frankfurt
E’ difficile iniziare un diario di viaggio quando il viaggio è già cominciato da quattro giorni. Sembrano passati mesi, in realtà, da quando siamo partiti.
Milano-Stoccolma in auto, pazzia?
Forse.
La mia silenziosa compagna di viaggio non stacca gli occhi dalla strada. Servono compagni di percorso con nervi saldi per sopportare gli screzi che inevitabilmente sorgeranno in giorni di convivenza forzata… ce li avremo? Potremo dirlo solo alla fine…
Eppure adesso sono qui, di fronte al palazzo imperiale di Gamla Stan a vedere un tramonto interminabile.
E’ un bel posto, l’ostello è proprio di fronte alla cità vecchia, la si abbraccia con la vista quasi nella sua interezza e tra me e il palazzo imperiale c’è solo uno stretto canale frequentatissimo di battelli di ogni tipo, comprese grosse navi da crociera…
Un momento, un momento, andiamo con ordine e partiamo dall’inizio. Torniamo alla partenza, che come molte altre partenze si concentra nel rito dello Stipaggio del Bagaglio e nel lasciarsi alle spalle le zone conosciute per addentrarsi lentamente verso paesi che si conoscono meno.
E’ Friburgo la nostra prima tappa, quasi a celebrare l’ingresso in Germania lasciandosi alle spalle i Cantoni Federali Extracomunitari altrimenti noti come Elvezia (cfr. De Bello Gallico), caratterizzati da un panorama bello ma anonimo, forse viziato dalla mia idea grigia della Svizzera o da una certa frenesia nel voler andare, vedere, arrivare e lasciarsi indietro.
Friburgo, si diceva.
Avevo già visto questa bella cittadina, ma in una giornata piovosa per una visita di corsa… questa volta è andata meglio: un bel sole ci ha concesso di vederla per bene… Ma cosa c’è qui oggi? Sembra una sorta di ricorrenza religiosa, anche se in realtà si tratta della Festa di Primavera e decine di ragazzini a metà tra boy-scout e chierichetti sfilano in città, dalla piazza del nuovo Rathaus fino alla cattedrale gotica di arenaria rossa , la stessa arenaria di Notre Dame de Strasbourg, che è di fatto a pochi chilometri da qui. Girare la città è anche guardare i curatissimi canaletti di scolo dell’acqua che corrno ai lati di ogni strada, veri fiumiciattoli limpidi, è visitare viuzze curiosamente simili ai carrugi liguri ma investiti dall’ odore di pietanze di ogni tipo, vista la quantità di affollati ristoranti e bistrot stipati in ogni angolo della città vecchia, magari con vista sul fiume, quello vero. Friburgo si gira in un oretta, il tempo di saziarci con un bretzel e di fare foto a scorci caratteristici, e poi siamo di nuovo in auto, alla volta di Frankfurt.
Il Tomtom fa il suo dovere e ci porta al quartiere Höcst dove abita una vecchia amica che ci ospiterà per la notte.
Monica è felice di vederci e si dimostra un’impeccabile guida, oltreché attenta ascoltatrice. Facciamo una puntatina a Francoforte centro (mitten stadt), dove ammiriamo gli avveniristici grattacieli della city, ci stupiamo dei conigli che girano liberi e tranquilli nei parchi all’ombra dei grattacieli e poi ci perdiamo un po’ nella parte storica.. Proprio in quel giorno si tiene una gara podistica e tutto il centro è affolatissimo: non riusciamo praticamente a vedere la piazza centrale, anche se la riscopriremo al ritorno… riusciamo però a svicolare e a perderci un po’ nelle vie più vecchie, semideserte. La città sembra tenere molto al suo patrimonio storico, ma è indubbio che il cuore pulsante è ormai quello moderno, Francoforte vive di futuro.
Lo storico lo troviamo proprio nella frazione di Höcst, in cui ci dilunghiamo nella serata: case in legno multicolori e decorate, un’aria pulita e a volte fiabesca e tanti scorci da fotografare; in conclusione festa di paese con birra e salsiccia annessa e che fatica far capire alla barista che di birra me ne basta una! Il bicchiere continua a riempirsi! Anche la mia compagna di viaggio solitamente abituata al pasto frugale sembra gradire, sarà merito dela simpatia dei gestori delle bancarelle? Può darsi.
Ed è già il secondo giorno.
[1 - continua]
Milano-Stoccolma in auto, pazzia?
Forse.
La mia silenziosa compagna di viaggio non stacca gli occhi dalla strada. Servono compagni di percorso con nervi saldi per sopportare gli screzi che inevitabilmente sorgeranno in giorni di convivenza forzata… ce li avremo? Potremo dirlo solo alla fine…
Eppure adesso sono qui, di fronte al palazzo imperiale di Gamla Stan a vedere un tramonto interminabile.
E’ un bel posto, l’ostello è proprio di fronte alla cità vecchia, la si abbraccia con la vista quasi nella sua interezza e tra me e il palazzo imperiale c’è solo uno stretto canale frequentatissimo di battelli di ogni tipo, comprese grosse navi da crociera…
Un momento, un momento, andiamo con ordine e partiamo dall’inizio. Torniamo alla partenza, che come molte altre partenze si concentra nel rito dello Stipaggio del Bagaglio e nel lasciarsi alle spalle le zone conosciute per addentrarsi lentamente verso paesi che si conoscono meno.
E’ Friburgo la nostra prima tappa, quasi a celebrare l’ingresso in Germania lasciandosi alle spalle i Cantoni Federali Extracomunitari altrimenti noti come Elvezia (cfr. De Bello Gallico), caratterizzati da un panorama bello ma anonimo, forse viziato dalla mia idea grigia della Svizzera o da una certa frenesia nel voler andare, vedere, arrivare e lasciarsi indietro.
Friburgo, si diceva.
Avevo già visto questa bella cittadina, ma in una giornata piovosa per una visita di corsa… questa volta è andata meglio: un bel sole ci ha concesso di vederla per bene… Ma cosa c’è qui oggi? Sembra una sorta di ricorrenza religiosa, anche se in realtà si tratta della Festa di Primavera e decine di ragazzini a metà tra boy-scout e chierichetti sfilano in città, dalla piazza del nuovo Rathaus fino alla cattedrale gotica di arenaria rossa , la stessa arenaria di Notre Dame de Strasbourg, che è di fatto a pochi chilometri da qui. Girare la città è anche guardare i curatissimi canaletti di scolo dell’acqua che corrno ai lati di ogni strada, veri fiumiciattoli limpidi, è visitare viuzze curiosamente simili ai carrugi liguri ma investiti dall’ odore di pietanze di ogni tipo, vista la quantità di affollati ristoranti e bistrot stipati in ogni angolo della città vecchia, magari con vista sul fiume, quello vero. Friburgo si gira in un oretta, il tempo di saziarci con un bretzel e di fare foto a scorci caratteristici, e poi siamo di nuovo in auto, alla volta di Frankfurt.
Il Tomtom fa il suo dovere e ci porta al quartiere Höcst dove abita una vecchia amica che ci ospiterà per la notte.
Monica è felice di vederci e si dimostra un’impeccabile guida, oltreché attenta ascoltatrice. Facciamo una puntatina a Francoforte centro (mitten stadt), dove ammiriamo gli avveniristici grattacieli della city, ci stupiamo dei conigli che girano liberi e tranquilli nei parchi all’ombra dei grattacieli e poi ci perdiamo un po’ nella parte storica.. Proprio in quel giorno si tiene una gara podistica e tutto il centro è affolatissimo: non riusciamo praticamente a vedere la piazza centrale, anche se la riscopriremo al ritorno… riusciamo però a svicolare e a perderci un po’ nelle vie più vecchie, semideserte. La città sembra tenere molto al suo patrimonio storico, ma è indubbio che il cuore pulsante è ormai quello moderno, Francoforte vive di futuro.
Lo storico lo troviamo proprio nella frazione di Höcst, in cui ci dilunghiamo nella serata: case in legno multicolori e decorate, un’aria pulita e a volte fiabesca e tanti scorci da fotografare; in conclusione festa di paese con birra e salsiccia annessa e che fatica far capire alla barista che di birra me ne basta una! Il bicchiere continua a riempirsi! Anche la mia compagna di viaggio solitamente abituata al pasto frugale sembra gradire, sarà merito dela simpatia dei gestori delle bancarelle? Può darsi.
Ed è già il secondo giorno.
[1 - continua]
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