Quando torno da un viaggio mi capita lo stesso strano senso di straniamento di chi vorebbe dire, raccontare, trasmettere un angolo di vita a chi, tutto sommato il proprio angolo di vita non fa che viverlo, semplicemente.
Il problema è che il viaggio mi trasmette una certa fame. Una fame indescrivibile, fame di sentimenti, di emozioni, di parole rivelatrici, e per contro mi lascia assolutamente satollo di banalità. Di ritorno dal ristorante al termine dell'universo, non ho spazio per le unghie spezzate o per la tv nazionalpopolare. In quei rarissimi momenti in cui sono in pace con me stesso, non mi riesce di controllarmi e sconfino in un insopportabile narcisismo in cui sono Frodo appena ritornato alla Contea, Luke appena diventato Jedi, e non mi basta più tutto il resto... Il primo ad apprezzare le piccole cose che fanno grandi certi episodi della vita, sono il primo a irriderle perché ho appena visto i raggi b balenare al buio di fronte ai bastioni di Tannhauser. Non posso fartelo capire, non pretendo che tu capisca. Non sono sazio di questo, non mi basta quello che prometti, devo cercare ancora, ho fame di questo, di questo spazio, di questa luce, di questi colori... E' tutto lì fuori e ce n'è così tanto, tesoro mio, che non avrò mai il tempo nemmeno in dieci vite per vederlo tutto. Voglio piangere per la canzone più bella del mondo, voglio restare a vedere se l'alba è dello stesso colore di ieri, voglio sedermi sul cerchione di un'auto da corsa, voglio passeggiare sull'ala di un jumbo, affacciarmi nel tunnel del vento, sfrecciare nella notte di alluminio&carbonio, cambiare la gomma di turiste per caso, guardare negli occhi il Papa e sorreggere il re di Spagna sui gradini scivolosi, guidare un elicottero, accendere con un solo gesto tutte le primi luci del Salone, abbuffarmi di sushi, voglio i suoi occhi e i suoi capelli... Si lo voglio ancora, e non mi basterà mai!
Con divertimento ascolto resoconti di chi, per la prima volta, timidamente è uscito dal guscio e ha visto quale meraviglioso mondo esiste oltre i confini del comune denuclearizzato. E sorrido, sì, perché lo do per scontato. Lo SO, semplicemente, l'ho già vissuto. masticato, digerito, sedimentato, e vivo con uno spocchioso e ancora una volta ipernacisista sorriso, l'espressione di stupore degli astanti nel sentire che a Venezia c'è l'acqua.
E viaggio non vuol dire soltanto andare oltreoceano o spostarsi fisicamente lontano dalla propria casa: viaggio può essere a cento metri da dove abiti se si tratta di vivere un'altra cultura, un'altra realtà, altri colori, altre idee. Incredibile come ridimensioni una realtà il semplice atto di guardarla da fuori, da lontano.
Perché, perché non riesco a fartelo capire? L'angolo della strada è rassicurante, ma non è benessere, non mi basta, mi sta stretto! Non sto cercando qualcosa di particolare, voglio semplicemente cercare, perché, inutile dirlo, mi da una gioia immensa il farlo.
Guardo le persone che si divertono ascoltando i miei aneddoti, leggendo quel solito commento "ma capitano tutte a te..." tra le righe. Si, tesori miei, capitano tutte a me perché sono io quello che è sempre là fuori a prenderle in faccia, perché se non lo faccio io non c'è nessun altro che lo fa, perché se non do il la, l'idea, l'impulso resta tutto uguale alla faccia di chi chiede con meraviglia se è vero che a Venezia c'è l'acqua.
Sì, c'è l'acqua. Bevila, sa di tè allo zenzero.
Non sarò mai a mio agio con la normalità; se devo sbattere la testa, che almeno sia contro un magnifico, multicolore, inenarrabile, stratosferico qualcosa. La testa fa un male cane... ma vacca boia com'era magnifico, multicolore... stratosferico proprio... Che cos'era?!? Non lo so ancora... ho ancora tanto da imparare, devo scoprirlo prima o poi.
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