7 agosto 2009

(Giappone) 6 - La PASMO, la SUICA, la ICOCA, la PITAPA

22/06

Arriviamo a Kyoto in poco più di due ore e mezza, in tempo per scioglierci sotto la cappa di afa pomeridiana. Certo, l’aria condizionata a bordo del treno-proiettile non ci aiuta certo ad acclimatarci istantaneamente, fatto sta che l’aria immobile e l’umidità quasi palpabile hanno un impatto stordente.
Kyoto non è Tokyo e si vede: chiedendo informazioni, addirittura una ragazza non mi risponde! Incredibile! Rammento che qui siamo in provincia e che le abitudini possono essere più tradizionaliste che nell’ambiente più cosmopolita della capitale... Vuoi vedere che è maleducazione rivolgersi direttamente all'altro sesso? Nel dubbio non lo faccio, anche se mi sembra davvero strano.

Non che la topografia della città sia particolarmente ardua: le vie formano una scacchiera perfetta, e le uniche due linee della metropolitana si intersecano esattamente in centro; il problema è che città di questo tipo, per quanto definite dalla maggioranza “più semplici da girare”, non lo sono affatto: il finto senso di sicurezza di vedere sempre e solo strade dritte e traverse perpendicolari, cozza con l’evidenza che ogni incrocio è identico all’altro, e si risolve solo chiedendo ai passanti… Le città a scacchiera sono “più semplici da girare” solo per chi non è capace di girare nemmeno nelle altre. Ecco, fine della reprimenda.
Comunque sia, il nostro alloggio (consigliatoci dalla preziosissima Paola) è facilmente raggiungibile in metropolitana… ma qui non siamo più nell’area di Tokyo, e non possiamo usare la fantastica tessera PASMO! Ma perché non ne facciamo una valida anche qui? Com’è che si chiama? SUICA.. No, la Suica vale per i treni JR della regione est… Ah sì, ICOCA… no, no… la Icoca è sempre per i treni, ma per la regione ovest… Ah ecco ci sono: La PITAPA!
Come si fa la PiTaPa? Non alle macchinette, e non istantaneamente: la sempre cortese e carina addetta allo sportello mi da un modulo prestampato per richiedere la card, e io mi ritrovo in mano un plico in fogli bianchi e verdini, con testo bilingue in colori diversi e caratteri microscopici, con rimandi, note e legenda in burocratese... Se non fosse per i kanji, sarebbe IDENTICO al modulo che si usa a Milano per richiedere l’abbonamento ATM. Ma dai... un po' di disorganizzazione burocratica! Mi sento a casa!
Va bene, qui viaggeremo coi biglietti ordinari, che sono sì abbastanza cari, ma non sempre necessari, visto che la città non è poi così enorme… certo, magari senza bagagli in spalla il percorso stazione-hotel sarà più fattibile.
Anche con l’ausilio dei mezzi pubblici ci mettiamo una buona mezz’ora, ma sudati e soddisfatti varchiamo la soglia dell’Hearton Hotel (e provate voi a chiedere in inglese ad un giapponese dove si trovi l’HEARTON HOTEL senza che lui capisca HILTON HOTEL o ASTON HOTEL, entrambi nelle vicinanze!) e prendiamo possesso della stanza 864, scoprendo peraltro che è la fotocopia di quella di Tokyo. Stessi letti, stessa impostazione, stesso armadio… persino la stessa botola sul soffitto del bagno! Beh, vorrà dire che sarà ugualmente comoda. A onor del vero questo hotel è un po’ più lussuoso e con qualche servizio in più, tra cui il noleggio delle biciclette compreso del prezzo, e questo si riflette anche sul personale, sempre educatissimo in ogni occasione, ma un po' più freddo e professionale di quello di Tokyo.
Rassettatici, ci muoviamo un po' a tentoni per trovare un luogo dove cenare, e questa volta siamo piuttosto fortunati.
Entriamo in un locale molto tradizionale in cui, come di consueto, ci leviamo le scarpe e ci accomodiamo ad un grosso tavolo triangolare, molto molto ampio. Ci arriva un sashimi assolutamente delizioso e , nel frattempo si siedono all’altro cateto del tavolo due nuovi avventori che attaccano quasi immediatmente bottone con noi. Sono due dirigenti di un’azienda che produce led (“EL I DI!” “what?!?” “ EL I DI!” “El… i… AHHH! LED!!!”: sempre impeccabile il nostro inglese!) e si dimostrano molto interessati alla storia e alla cultura del nostro paese: discutiamo infatti di cucina, di attualità, di geografia… uno di loro disegna perfino una cartina approssimativa dell’Italia, chiedendoci di segnare le città più importanti e di parlarne, facendo nel contempo domande molto argute e circostanziate. La conversazione fila che è un piacere e per una volta l’inglese sembra fluire spontaneamente, da ambo le parti… una bellissima sensazione di avvicinamento e comprensione reciproca. Nell’entusiasmo chiediamo loro di ordinare qualcosa per noi, qualche piatto tipico che noi non conosciamo, dando completamente carta bianca, e veniamo stupiti dalle varianti della cucina giapponese, a volte molto simile alla nostra, a volte quasi aliena.
I due devono rientrare a casa: sono usciti da poco da un noioso meeting e le loro mogli saranno in pensiero. Li salutiamo con calore, ma non facciamo quasi in tempo a dedicarci alla nostra superba cena, che veniamo coinvolti da una signora appena arrivata in un’altra conversazione, nata in modo piuttosto surreale. Capita infatti che il nostro sguardo vaghi incontrando quello di altri commensali; in questo caso è buona norma salutare come segno di rispetto ed educazione, ma non sapendolo rimaniamo un po’ colpiti quando una ragazza da un altro tavolo ci saluta sorridendo.
La signora che la accompagna si rivolge a noi, con parlantina sciolta e un certo divertimento, e ci apostrofa subito spiegandoci queste piccole regole di convivenza sociale, chiedendoci da dove veniamo, andando in sollucchero sentendo che siamo italiani, ma senza lesinare qualche battuta sul nostro “sexy prime minister” (argh… ). Passa poi a magnificare la ragazza che ci ha salutati: è una boxeur, spiega, e ha vinto un titolo importante, la “cintura di Okayama” o qualcosa del genere; per tutta risposta la giovane ci sorride e simula la postura da combattimento, poi tutti ridiamo.
Certo che, una volta rotto il ghiaccio (e non mi pare sia stato difficile, finora), questi giapponesi sono davvero allegri e festaioli!
Ma come, non erano stressati e alienati? Non siamo nel paese della morte per superlavoro? Degli assurdi rituali sociali e della spersonalizzazione dell’individuo sacrificato per la Comunità?
Sarà, ma a me sembra più frenetica Milano…
Uscendo dal locale passiamo accanto ad una palestra, dove sono affissi i consueti manifesti pubblicitari di attrezzatura, vestiario ad hoc, guantoni da boxe… ma… ma… In quel manifesto è ritratta la ragazza pugile di poco fa! Ci chiediamo QUALE importanza abbia il titolo che ha vinti e QUANTO sia famosa, ma forse non lo sapremo mai!
Già, perché in un impeto di entusiasmo decidiamo di fare un giro serale al parco imperiale, posto, come di consueto, al centro esatto della area urbana.
Proprio una bella idea.
C’è poco da vedere, sia perché il parco e quasi totalmente buio, ma soprattutto perché veniamo sorpresi da un violento aquazzone estivo, che ci costringe a correre a perdifiato tra vie ancora ignote… Entriamo nella hall dell’albergo completamente fradici, allagando buona parte del tappeto rosso e com gli occhiali appannati. ma con aplomb inglese chiediamo la tessera-chiave come se niente fosse.
E’ il momento di una doccia calda e di una bibita fresca, tutti e tre con indosso lo yukata in dotazione alla stanza.

3 commenti:

Colei che... ha detto...

Che bello! :D La cosa che ti invidio di più è forse la "guida gastronomica" trovata direttamente sul posto! :P Dev'essere magnifico poter assaggiare cibi locali suggeriti direttamente da chi... capisce quello che c'è scritto sul menù! ;)

calendula ha detto...

però che bello l'acquazzone estivo... qui è un po di anni che ormai non se ne vedono....

Tyreal ha detto...

ah, io ne ho preso uno giusto ieri. Proprio il tempo necessario per uscire dalla stazione e arrivare alla macchina, poi ha smesso!