Piove.
Ogni volta che nomino il parco di Ueno, piove!
Non importa: su consiglio di Paola, reincontrata proprio stamattina, andiamo a visitare il Museo Nazionale sotto un’acqua battente, protetti unicamente dagli ombrelli a disposizione dei clienti dell’albergo.
Il personale all’ingresso, come al solito organizzatissimo, ci fornisce guaine portaombrelli e ci guida verso una lunga scala mobile che scende verso i sotterranei, dove assistiamo ad una mostra che fa davvero la felicità di tutti i bambini presenti (una folla!), piena com’è di fossili e ricostruzioni di dinosauri. In un attimo di smarrimento ci sembra che il museo sia finito lì, ma vagando un po’ per corridoi e passaggi decisamente anonimi si scoprono altre aree espositive, rivelando le vere dimensioni interne del museo, inaspettatamente ampio e completo. Articolato su più piani, ognuno legato a un ramo diverso della scienza, sembra davvero non finire mai, riservando sorprese ad ogni angolo; molto bella, ad esempio, la sala dell’evoluzione, in cui il pavimento circolare è illuminato con percorsi che, da un ceppo comune, seguono l’evolversi del dna e portano alla bacheca corrispondente all’animale che lungo quella linea evolutiva si è sviluppato.
Nella sezione dei primati c’è uno spazio vuoto, ma posizionandosi in un punto prestabilito, una telecamera cattura la nostra immagine e la proietta dentro la teca: è infatti la sezione dell’homo sapiens.
Nella sezione dei primati c’è uno spazio vuoto, ma posizionandosi in un punto prestabilito, una telecamera cattura la nostra immagine e la proietta dentro la teca: è infatti la sezione dell’homo sapiens.
Ogni ala del museo è organizzata in modo molto accattivante e spesso dotata di sistemi interattivi; alla fine delle aree dedicate a fisica e chimica ci sono sale in cui imparare giocando i principi della scienza: veri e propri laboratori con adulti che spiegano la chimica ai bimbi attraverso semplici esperimenti, ma anche macchine, leveraggi, ruote, specchi e palline per la gioia di tutti i bambini e di Max, che si presta volentieri a fare da “valletto” all’insegnante che mostra ai pargoli il funzionamento del giroscopio con una semplice ruota da bicicletta.
Alcune esposizioni riguardano lo sviluppo della cultura e della società, con manichini rappresentativi di normali attività nelle diverse epoche, dalla preistoria ad oggi (si ringrazia Enrico per aver fatto da modello all’immagine del cavernicolo, assolutamente identico a lui), attraverso differenze di tecnologia, ambiente, oggetti ed abiti. Anche in questo caso esiste una teca vuota a cui si può accedere e recitare la parte dell’uomo contemporaneo. Non ci riesce male con fotocamere, cellulari e tutti gli altri ammennicoli tecnologici di cui siamo abitualmente dotati.
Terminata la lunga e appagante visita al museo, ci muoviamo attraverso il parco di Ueno e passeggiamo per deliziosi sentieri che attraversano torii e tempietti, godendo del periodo di tregua che la pioggia sembra concederci, nonostante i minacciosi brontolii del cielo.
Ed è proprio vagando attraverso i templi, alla ricerca del famoso Tosho-gu, ci imbattiamo in un simpatico ed acculturatissimo nativo che ci delizia raccontandoci la storia di Ueno, di come lo shogunato Tokugawa avesse qui il suo centro e della grande battaglia che ne decretò la caduta, instaurando di fatto il potere dell’imperatore. Scendendo poi nello specifico del luogo sacro in cui ci troviamo, ci spiega la tradizione del complesso dei templi, con l’edificio principale e i santuari secondari dedicati alle diverse divinita e ci fa da guida verso una seminascosta grotta, contenente un altare dedicato alla volpe, animale messaggero degli dei.
Passiamo in compagnia dell’anziano signore una piacevole mezz’ora, poi ci salutiamo e lo vediamo svoltare l’angolo.
E con un filo di inquietudine ci rendiamo conto che è praticamente scomparso.
Prendendola con filosofia, proseguiamo la visita ai templi del parco, non rinunciando ad uno spuntino presso un pittoresco carretto tradizionale, costeggiamo il lago Shinobazu e ammiriamo l’isola su cui è eretto il Benten-Do, dedicato all’amore e alla bellezza delle arti, contempliamo il celeberrimo Tosho-gu col portale visto tante volte su libri e guide turistiche, fotografiamo i disparati animali che vivono qui e ci concediamo persino il giretto sui pedalò. Non consigliabile se si è in tre, specialmente se oversize.
Finiamo la serata ad Ochanomizu, coinvolti da un insolito entusiasmo di Max, che sembra sguazzare per le viuzze del quartiere come se ci fosse nato. Increduli, lo seguiamo mentre si orienta con sicurezza, scende scale, svolta per viottoli, parlotta con un poliziotto… Afferma che qui ci dovrebbe essere un ottimo ristorante tipico.
Max non è mai stato a Tokyo, ma sembra essere posseduto dallo spirito di un navigato mercante del tardo periodo Edo.
E il ristorante c’è davvero.
Chiedendo lumi al diretto interessato, pare che semplicemente gliel’abbia consigliato un amico prima di partire, ma la situazione è stata fin troppo surreale e il recente pomeriggio intriso di sacralità zen ci spinge ad ipotizzare un intervento soprannaturale. O forse è la fame.
Scendendo sottoterra, in un ambiente raffinato ed elegante (niente scarpe!), gustiamo una delle cene migliori di Tokyo, condite anche dalla presenza di una simpatica cameriera con cui scambiamo qualche risata.
Ma è già ora di tornare! E bisogna anche fare le valigie, perché domani si parte per Kyoto!
La notte passa in fretta, la mattina arriva prorompente e ci affrettiamo a lasciare libera la stanza. Le ultime ore a Tokyo le passiamo prendendo un paio di souvenir: Guido ritorna alla “sua” Akihabara, mentre Max ed io restiamo nei dintorni di Akasaka, ma molti negozi sono ancora chiusi… Come ingannare l’attesa? Al grido di Orangemokafrappuccino!!! Ci fiondiamo da Starbucks, dove almeno il cappuccino somiglia vagamente a quello italiano (per il caffè no, non c’è speranza!).
Il Dangan Ressha Hikari parte in orario dal binario 14, ed è curioso scoprire che, prima della partenza, i solerti funzionari delle Japan Rail puliscono tutto con impressionante rapidità e girano i sedili secondo il senso di marcia (!).
Ora siamo qui seduti, coi nostri bento acquistati dal simpatico ristoratore alla stazione di Aoyama, sfrecciando a più di duecento chilometri all’ora sulla tratta Shinkansen che ci porterà a Kyoto… Sarebbe tutto perfetto se non fosse che con questo tempo bigio è praticamente impossibile riuscire a vedere il maestoso monte Fuji.
Ah, e si dice Fuji-san, NON Fujiyama!
Ah, e si dice Fuji-san, NON Fujiyama!
3 commenti:
bellissima anche questa recensione :-)
per curiosita', quanto avete speso per la cena al ristorante di Ochanomizu? mi piacerebbe fare una cena tipica in un ristorante carino ma non vorrei lasciarci un rene ;-)
attendo la recensione su Kyoto :-)
La spesa per il cibo non è mai stata esorbitante. E' chiaro che un ristorante "serio" ti porta via una ventina di euro a pasto, ma nei locali tipici agli angoli delle strade si può mangiare davvero con tre o quattro euro. In ogni caso i prezzi sono sempre chiaramente esposti all'esterno.
:) E comunque... bellissimo il Gundam! :P
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