Tornando a casa, questa sera, sono passato per l'ennesima volta accanto a un Autogrill un po' diverso dai soliti. Non che proponga un allestimento particolare o rustichella meno chimica della media, sto parlando proprio di estetica e di architettura, ma soprattutto di sensazioni.
È sotto una struttura particolare, slanciata, futurista, ottimista, una di quelle idee nate negli anni cinquanta o sessanta e in qualche modo sopravvissute tra gli orrori cementizi del periodo: tre archi bianchi, molto alti e dai montanti sottili, che si appoggiano gli uni con gli altri a reggere una circonferenza su cui svetta il logo del ristorante.
Non so se sia bello, forse non lo è, ma non ne ho mai visti altri simili e per me ha un significato particolare, pertanto, per quei motivi del tutto illogici che solleticano la mente umana, mi piace tantissimo.
Sì, perché rappresenta una sorta di età dell'oro della mia infanzia, piazzata più o meno durante i primi anni della scuola dell'obbligo, periodo in cui la domenica era salire sull'auto con papà e andare a fare un giro... Non per forza una gita fuori porta, perché non sempre si poteva, ma anche solo l'idea di salire in auto, magari nel posto davanti, quello dei grandi, era già una gioia. Mio padre ci ha sempre scarrozzati ovunque durante le feste: macinavamo chilometri sulla 131 blu da prima che sapessi quale fosse il significato di "millesei bialbero" e, sebbene arrivassi sempre a soffrire il mal d'auto, ho sempre amato quei viaggi un po' zingareschi ed è innegabile che debba a quelle esperienze la mia attuale voglia di guidare in giro per il mondo.
Quando non si poteva andare a Roma, in Calabria, in Toscana o semplicemente al mare, cosa facevamo? Andavamo "fuori". Non importa dove, poteva essere a trovare gli amici di famiglia, un altra città appena fuori dalla provincia, il castellino che "ci sono passato una volta, ma non ci sono mai fermato", la fiera di paese... Qualsiasi cosa. Ma al ritorno ci si fermava all'autogrill.
Non so dove sia nata la tradizione, so solo che a un certo punto ci andavo pazzo e restavo persino deluso quando si tornava troppo tardi e non c'era tempo per fermarci... tanto che mio padre, a volte mi ci riportava la settimana dopo. Sì, senza andare in un posto preciso: prendevamo l'auto unicamente per andare in quella curiosa astronave, a volte imboccando proprio l'autostrada, a volte entrando dal retro, l'ingresso di servizio dalla statale usato dai dipendenti e scoperto chissà come anche da noi. Si passava per il cancelletto sferragliante, si attraversava il parcheggio dei camion (erano le prime volte che vedevo i giganti della strada da vicino, mi sembravano incredibili) e finivamo sotto l'immensa arcata. C'era addirittura una porticina per la manutenzione e mi sono sempre chiesto come fosse infilarsi lì dentro e salire per... quanti? trenta metri? in un cunicolo dentro l'arco portante. Da brividi!
Papà prendeva il caffè, per me c'era un succo o una brioche, ma io restavo sempre incantato a guardare la copertura così avveniristica e il lampadario assurdamente e baroccamente gigantesco.
Oggi quell'autogrill è ancora lì, con i suoi archi sottili, i camogli avvizziti e il parcheggio dei camion. Gliene hanno costruito uno proprio accanto, moderno, imponente, che quasi intimidisce con il suo tetto così somigliante alla Devil's Tower di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo. Non mi piace: è troppo arrogante, io amo quegli archi sottili e luminosi.
Non ne farò un dramma se e quando li abbatteranno, ma sicuramente mi dispiacerà moltissimo.